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È quello responsabile della cardiomiopatia ipertrofica, che colpisce una persona su 500 e può causare la morte improvvisa degli atleti. Ma fioccano le polemiche sull'esperimento, avvenuto negli Stati Uniti e coordinato dall'Oregon Health and Science University e pubblicato dalla rivista scientifica “Nature”. Le questioni etiche di fronte all'eventuale nascita di bambini i cui embrioni siano stati modificati geneticamente sono prevalenti anche rispetto alla constatazione che i bambini non solo sarebbero nati sani, ma anche i loro figli sarebbero stati al riparo dalla malattia. In parole povere, i ricercatori dell'Oregon Health and Science University, al momento della fecondazione ‘in vitro’, hanno tagliato il Dna malato e hanno inserito una sequenza di ‘lettere’ genetiche ‘scritte’ dai ricercatori in laboratorio. Naturalmente tutto si è sempre svolto ‘in vitro’ ed appena per il breve tempo necessario a valutare l’esito dell’esperimento. L’esito è stato favorevole, ma le proteste sugli interventi genetici sull’uomo sono fortissime Normalmente, le probabilità di un bambino di ereditare una copia del gene malato da uno dei genitori sarebbero state del 50%. L'intervento ha portato questa percentuale al 72%, segno che la tecnica di “taglia e incolla del Dna” ha ancora dei tassi di insuccesso rilevanti. «Ma contiamo di poter arrivare al 90, se non al 100%» ha spiegato Shoukrat Mitalipov dell'università dell'Oregon, il coordinatore dello studio. Undici società scientifiche internazionali, tra cui l'American Society of Human Genetics e il Wellcome Trust britannico, hanno già fatto sentire la loro voce di protesta invocando maggiori cautele nell'uso di una tecnica capace di alterare non solo il Dna di un bambino che ancora dovrà nascere, ma anche quello di tutta la sua discendenza, anche se questo volesse dire sconfiggere malattie gravissime.