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Ci sono ancora troppe persone disabili che vivono negli istituti, che l’Unione continua a finanziare, e non sono nelle condizioni di decidere autonomamente della propria vita: lo scrive il report “From institutions to community living” dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA). Spiega il direttore di FRA Michael O’Flaerty: «Questo studio è un campanello d’allarme per i politici affinché si assicurino che questo diritto venga finalmente riconosciuto ed implementato». L’Unione ha deciso di utilizzare i Fondi strutturali e d’investimento per supportare la transizione dagli istituti alla vita di comunità ma, all’atto pratico, questa non è ancora avvenuta o non si è realizzata a pieno. Le poche comunità che esistono devono confrontarsi con la mancanza di fondi e di personale. O’Flaerty ricorda che tutti gli Stati membri, con l’Irlanda unica eccezione, stanno violando la convenzione dell’ONU sui diritti delle persone disabili: una carta che hanno ratificato e che sancisce, tra l’altro, il diritto a vivere da soli e non alle dipendenze di qualcuno, che sia un familiare o un istituto. La situazione in Italia è in molti casi al di sotto dei livelli minimi europei Lo studio evidenzia che la vita nelle strutture non è soltanto limitativa ma anche degradante: le persone, soprattutto quelle con problemi gravi, vivono in condizioni di isolamento e sentono di non avere il controllo sulla propria vita. Il direttore O’Flaerty auspica che gli istituti siano sostituiti da comunità o abitazioni dove convivano più persone disabili che possano aiutarsi reciprocamente ad affrontare le difficoltà di tutti i giorni grazie anche al supporto della tecnologia e di personale qualificato. E la situazione non è certo delle migliori in Italia, dove gli stessi istituti, per la mancanza di fondi dovuta ai continui ‘tagli’ alle spese sociali dello Stato e delle Regioni, hanno sempre maggiori difficoltà a mantenere i livelli minimi di assistenza.