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Non c’è ancora chiarezza su come sarà configurato il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, ma le perplessità sono già moltissime e non tutte dall’agone politico. Anche i tecnici hanno espresso dubbi sulla misura che sta per essere definita. Anche l’Ufficio Studi della CGIA di Mestre mette in guardia contro la possibilità che la metà della platea dei teorici destinatari possa essere composta da persone che lavorano in maniera irregolare. «A causa dell’assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – non possiamo dimostrare con assoluto rigore statistico questa tesi. Tuttavia, vi sono degli elementi che ci fanno temere che buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza potrebbe ottenere questo sussidio nonostante svolga un’attività lavorativa in nero, sottraendo illegalmente alle casse dello Stato un’ingente quantità di imposte, tasse e contributi previdenziali». Le prestazioni di lavoratori in nero sono occasione di concorrenza sleale per vari settori economici Secondo l’Istat, in Italia ci sono poco meno di 3,3 milioni di occupati che svolgono un’attività irregolare. Se da questo numero, dice l’Ufficio Studi, vengono esclusi i dipendenti e i pensionati che non hanno i requisiti per accedere a questa misura, in linea teorica, a percepire questa misura sarebbero 2 milioni di lavoratori in nero, vale a dire circa la metà dei potenziali aventi diritto. «Con la diffusione dell’economia sommersa – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – a rimetterci non è solo l’Erario. Ci rimettono anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigiane e del commercio che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di chi beneficia di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di chi pratica un prezzo finale del prodotto/servizio molto più contenuto».