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Le interviste di Asterisco: Federico Allamprese

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Sono arrivate dai più piccoli le maggiori soddisfazioni per la Canottieri Mestre, impegnata nelle regate inaugurali della stagione remiera a San Giorgio di Nogaro, in Friuli Venezia Giulia; presenti circa 800 atleti di tutte le età, provenienti anche da Croazia, Slovenia ed Austria. Alessio Romano e Sebastiano Restivo si sono classificati primo e secondo nelle rispettive serie in singolo allievi cat. B. In un avvio d’annata complessivamente soddisfacente per la rappresentativa biancoverde va segnalata anche la buona prova degli under 19, Alexandros Saraji e Nicolò Bellemo (settimo ed ottavo in singolo; quinti in 2 senza) in preparazione delle selezioni a Gavirate per i campionati europei.
Felicissima proposta, al teatro Malibran e per la prima volta a Venezia in occasione del trecentesimo anniversario della morte di Alessandro Scarlatti, dell’unico titolo dell’insigne musicista definibile come comico: “Il trionfo dell’onore”, commedia in tre atti su libretto di Francesco Antonio Tullio in prima esecuzione assoluta al Teatro dei Fiorentini di Napoli il 26 novembre 1718. Non si tratta, come il titolo farebbe supporre, di una riflessione moraleggiante sugli usi e costumi di personaggi paludati di alto sentire, ma appunto di una commedia, nella quale si assiste ad una sarabanda caotica, ad alto livello di licenziosità, animata da quattro coppie che si intrecciano, si contrappongono, si desiderano, si odiano, fino alla ricomposizione finale, ove, giusto il titolo dell’opera, trionfa l’onore, cioè buon senso e realismo. Il merito dell’eccellente riuscita di questa nuova produzione, salutata al calar del sipario da intensissime e giustificate ovazioni del pubblico, va ascritto in parti uguali alla componente scenica e a quella musicale. Il palcoscenico è tenuto in mano con sicurezza esemplare dal regista Stefano Vizioli, coadiuvato da Ugo Nespolo per scene e costumi, questi ultimi realizzati con gusto e abilità da Carlos Tieppo. Nevio Cavina è il responsabile dele luci. Vizioli riesce a conferire coesione e un ritmo compatto, senza una sbavatura, senza un momento di stasi, con la massima vitalità ma senza quella frenesia che il vorticoso alternarsi delle situazioni potrebbe suggerire, allo scervellato agitarsi degli otto personaggi in fregola. Tutto sul palcoscenico funziona a meraviglia, come un meccanismo perfettamente oliato in cui ogni ingranaggio si incastra senza attrito nell’altro a creare il movimento richiesto; e si rischia di dimenticare bellezze e difficoltà del canto per seguire il gustoso alternarsi dei personaggi sulla scena, che danno vita a simpatici siparietti ricchi di humor e di animazione. Non sono tanto le singole trovate, numerose e spesso ben centrate, a riscattare una comicità inevitabilmente datata risalendo all’inizio del settecento, quanto, come si accennava, il ritmo, sostenuto ma non troppo, mantenuto sul palcoscenico dal regista, che manovra con ammirevole sicurezza e capacità professionale movimenti e gestualità degli otto personaggi; ognuno dei quali, per di più, è caratterizzato in maniera gustosa ed accurata, non sfuggendo allo stereotipo ma anzi valorizzandolo con intelligenza per sottolinearne l’effetto comico. All’eccellente esito dello spettacolo dà un contributo determinante Ugo Nespolo, scenografo e costumista, che avvolge la scena - tranne alcuni momenti seri del III atto affidati al personaggio di Leonora che si svolgono su un fondale scuro - in una meravigliosa sarabanda colorata, ove sono dominanti le quinte decorate con grandi figure di animali, di case o di natura, il fondale geometrico ma altrettanto vivace, e i costumi, di fogge varie e di epoche diverse, anch’essi sovrabbondanti di colore, fantasia, allegria; il tutto rimanendo nell’ambito aureo dell’equilibrio, del buon gusto, della creatività sollecitata al massimo grado ma sempre nel pieno controllo dei mezzi usati allo scopo. E altrettanto può dirsi del disegno luci. Insomma, verrebbe da dire, uno spettacolo più da carnevale che da inizio quaresima, nel quale il giocoso e vitalissimo succedersi delle situazioni erotiche si riflette come in uno specchio nella festa dei colori e della fantasia proposta da scene e costumi; e, forse, viene reso ancora più ammiccante dall’ambiguità sessuale di alcuni personaggi, dovuta certo alla disponibilità degli artisti sulla piazza all’epoca della prima per cui si dovevano accettare quelli che c’erano, ma che finisce per accentuare, almeno per la sensibilità di oggi, quel senso di licenziosa confusione che caratterizza la vicenda. Riccardo, ad esempio, è un seduttore impenitente, collezionista seriale di conquiste femminili, che, dopo aver messo incinta Leonora, vuole ora spassarsela con Doralice fingendosene innamorato perso e pronto a fuggire con lei scopo matrimonio. Ebbene, Riccardo è un soprano donna en travesti sin dalla prima assoluta dell’opera, mentre, secondo la finzione, deve corteggiare, sbaciucchiare, brancicare altre donne. Il personaggio comico di Cornelia, riproposizione del buffo stereotipo della vecchia in fregola ancora a caccia di gratificazioni erotiche, è affidato, secondo l’uso barocco consacrato da illustri precedenti come Monteverdi, ad un tenore, il che ne accentua la componente comica ma anche la fluidità di genere, vista la frequenza delle schermaglie amorose fra Cornelia e il suo amato Flaminio, entrambi tenori. E il tocco conclusivo lo mette Erminio, innamorato di Doralice, che aggiunge il suo timbro asessuato di controtenore alla allegra miscellanea. Anche la parte musicale dello spettacolo è di alto livello, in primo luogo grazie alla impeccabile preparazione musicale, stilistica e scenica degli otto protagonisti, che costituiscono un ensemble affiatato, divertito, professionalmente perfetto. È una gioia vedere questi artisti muoversi e cantare sul palcoscenico con tanta sicurezza e competenza. Il soprano Giulia Bolcato è un Riccardo che si presenta come un giovanetto dalla voce limpida, adamantina e dall’emissione fluida, cui si aggiunge l’incedere ardito, sprezzante, secondo una ben riuscita imitazione di un certo machismo ‘che non deve chiedere mai’. Riccardo è stanco delle lagne di Leonora, da lui sedotta e che ricorda molto la Donna Elvira del “Don Giovanni” di Mozart, mentre è stuzzicato assai da Doralice. Ma dopo aver subito una ferita in duello da Erminio, a sua volta innamorato di Doralice, rinsavisce, si pente e sposa Leonora. Quest’ultima è un personaggio serio affidato al timbro gradevolmente scuro, morbido e ricco di nuances del mezzosoprano Rosa Bove, che interpreta, con la compostezza scenica richiesta dalla parte ma con apprezzabile partecipazione emotiva e suono sempre omogeneo in tutta la gamma, le arie patetiche previste dalla partitura. Doralice, invece, che seria non è, è raffigurata come una biondona un po’ svampita, una ‘bona’ vistosa, volgarotta e sensuale: eccellente il soprano Francesca Lombardi Mazzulli nella caratterizzazione, per la quale si avvale di uno strumento corposo e risonante e di un fraseggio lodevolmente vario. È difficile pensare che di una donna dall’aria così volubile e superficiale come Doralice possa essere innamorato il serioso Erminio, che finirà per averla dopo il ritiro dello sciupafemmine Riccardo. Ma sono i misteri della finzione teatrale, che vanno accettati gioiosamente. Erminio è affidato all’illustre controtenore Raffaele Pe, che esprime la propria sofferenza di innamorato respinto non con la mestizia, come la sorella Leonora, ma con le arie di furore, alle quali piega con successo, grazie ad una competenza musicale e stilistica di alto livello, una vocalità elegante forse più adatta alle espressioni liriche e distese. Il gestire esagitato che accompagna la rabbia, poi, corrisponde allo stato emotivo di Erminio ma sembra esagerato, fuori misura. Il complice di Riccardo nelle sue sregolatezze erotiche, una sorta di Leporello meno complesso e più maschera, è il capitano Rodimarte Bombarda, il classico militare gradasso della commedia dell’arte pronto sempre a dar fuoco alle polveri per poi sparare a salve. Ne è ottimo interprete il basso-baritono Tommaso Barea, grazie ad una vocalità dal bel timbro e robusta, tonitruante a volte, la più adatta a restituire il carattere del personaggio. Rodimarte ama la servetta che, guarda un po’, si chiama Rosina di nome e Caruccia di cognome. Finirà per sposarla, come è ovvio, vincendo senza difficoltà la concorrenza di Flaminio, il classico barbogio dell’opera buffa che concupisce la giovane e finisce per accontentarsi della vecchia. Rosina è il mezzosoprano Giuseppina Bridelli, bravissima per la sciolta, espressiva eppure misurata prestazione scenica e vocale, che ci restituisce una domestica attraente, accattivante, ma mai sopra le righe. Flaminio è caratterizzato in maniera perfetta dal tenore Dave Monaco, che mette la propria sicura e gradevole vocalità di buona tenuta al servizio di un personaggio impagabile, ricco di dignità e di sussiego nonostante la zoppia. Inutile precisare che Flaminio finirà per sposare non la fresca Rosina ma la stagionata Cornelia, a lui già promessa, affidata alla gustosissima ma mai volgare caratterizzazione del tenore Luca Cervoni. Tutti bravi, anzi bravissimi, quindi, sostenuti dalla concertazione del direttore d’orchestra Enrico Onofri, cui è affidata una partitura la più affidabile e completa possibile dopo la revisione compiuta sul manoscritto originale da Aaron Carpenè. Onofri dirige con la competenza riconosciutagli, evitando al meglio quel rischio di meccanicità sempre presente nei ritmi sostenuti del teatro barocco e allargandosi con ammirevole lirismo ed un emozionante effetto patetico nei momenti di ripiegamento intimistico. Adolfo Andrighetti
Rinnovata strategia internazionale per Idrobase Group, vivace realtà imprenditoriale “made in Italy”, con sede a Borgoricco, in provincia di Padova e da anni presente sul mercato africano: anticipando il piano Mattei e prima fra le imprese medio-piccole del nostro Paese avvia, infatti, tre accordi per produzione su licenza in Algeria. Il primo riguarda i componenti per aspirapolveri professionali, mentre il secondo interessa i detergenti per autolavaggi (car wash), hotel e ristoranti (HoReCa); il terzo contratto interessa componenti per idropulitrici professionali. Ai 3 partner algerini saranno fornite tecnologie e “know how” da Idrobase Ningbo (Cina) e dalla casa madre italiana, che si riserva il controllo e la verifica sulla produzione. I componenti prodotti in loco saranno assemblati ai pezzi in arrivo dagli altri due stabilimenti della “multinazionale tascabile” italiana, dando vita ai prodotti finiti . “I prodotti finiti saranno marchiati con logo Idrobase e venduti in Algeria e sul mercato africano; la casa madre italiana garantirà la promozione del brand, il collegamento fra produttori e mercato, nonché naturalmente il controllo di qualità” precisa Bruno Gazzignato, Contitolare di Idrobase Group. Questa implementazione della strategia aziendale nasce tre anni fa ed è parte del piano di sviluppo del marchio Idrobase, che contiamo produca importanti sviluppi sul mercato del settore del cleaning ad iniziare dall’Africa per poi interessare altre aree del mondo. Crediamo così di concretizzare obbiettivi condivisi, offrendo opportunità di collaborazione ad economie emergenti” conclude Bruno Ferrarese, anch’egli Contitolare dell’azienda, specializzata nelle tecnologie dell’ “acqua in pressione” e del “respirare aria sana.” La produzione inizierà fra 9 mesi, cioè il tempo necessario ad approntare le linee di produzione e ad istruire il personale. “Probabilmente siamo la prima azienda europea a delocalizzare dalla Cina all’Algeria!” conclude Ferrarese.
Da venerdì 14 Marzo prossimo sarà disponibile, su tutti i canali digitali, “Tango y Nada Màs”, il nuovo lavoro del chitarrista trevigiano, Andrea Vettoretti, Direttore Artistico del Festival Internazionale delle Due Città Treviso-Venezia: si tratta di un “medley a quattro mani”, eseguito con un altro conosciuto chitarrista della Marca, Massimo Scattolin e dedicato alle melodie più iconiche di Astor Piazzolla, Aníbal Troilo e Cacho Castaña, fuse in un’unica, intensa narrazione musicale. “Tango y Nada Màs” è un omaggio alla tradizione ed allo stesso tempo una nuova visione di questa musica, dove le chitarre dialogano e si inseguono, trasformando ogni nota in un racconto di passione e nostalgia: “Vuelvo al Sur”, “Malena”, “Garganta con Arena”, “Chiquilín de Bachín”, “Balada para un loco”, “Yo soy María” sono brani qui trascritti con cura ed interpretati con tocco unico, vibrante di emozione e virtuosismo. Andrea Vettoretti, chitarrista e compositore di prestigio internazionale, porta la sua musica sui palcoscenici del mondo, esplorando un linguaggio musicale innovativo tra classica e nuove sonorità; con “Tango y Nada Más” prosegue il suo percorso nel genere “New Classical World”, una visione musicale, che unisce tradizione e contemporaneità con uno sguardo aperto al futuro. Dopo essersi esibito nel 2024 in eventi musicali dedicati alla sostenibilità (dal G7 Agricoltura al Teatro La Fenice), Andrea Vettoretti sarà ufficialmente nominato a Trento, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua in calendario il 22 Marzo, “Ambassador del Global Network of Water Museums”, promosso dall’Unesco.
In attesa di rinserrare le fila, ripartendo dal beach handball, la Pallamano C.U.S. Venezia, che in questa stagione sta limitandosi all’attività promozionale, esprime grande soddisfazione per i successi dei “tre moschettieri” che, oggi ventenni, hanno lasciato la società lagunare per i maggiori palcoscenici nazionali, prodotto di un settore giovanile, che si sta lavorando per ricostituire (i biancogranata possono vantare, nel palmares, anche uno scudetto Under 14). Marco Zanon, terzino sinistro approdato nelle fila del Bolzano in serie A Gold, è tra i 19 convocati al raduno della Nazionale in vista della doppia sfida con la Lettonia (13 Marzo a Jelgava – 16 Marzo ad Oristano), valida per le qualificazioni ai Campionati Europei 2026 e che sarà la “prima” del neo Direttore Tecnico azzurro, Bob Hanning. In serie A Gold milita anche Lorenzo Rossi, da tre anni a difesa della porta dei neopromossi marchigiani del Camerano; l’estremo difensore veneziano è stato convocato al raduno della Nazionale di beach handball, iniziato a Trapani, sotto la guida di mister Pasquale Maione in vista degli Europei della prossima estate in Turchia, dove gli azzurri se la vedranno, nella fase preliminare, con Ungheria, Norvegia ed Ucraina. Il pivot, Leo Andreotta, infine, è tra i protagonisti della rinascita del Trieste, la società più titolata d’Italia e che, dopo un anno in Serie A Silver, ha riconquistato la massima serie a quattro giornate dalla fine ed è tuttora imbattuta. “Non possiamo che essere felici del progredire della loro carriera sportiva, partita tra le mura del PalaCus – commenta Sebastiano Varponi, loro primo allenatore ed ancora oggi sul parquet ad insegnare i basilari dello sport ai più piccoli - Manteniamo buoni rapporti e non mancheremo di utilizzarli come testimonial per cercare i loro epigoni, capaci di riportare il C.U.S. Venezia al ruolo, che per tanti anni ha rivestito nella pallamano italiana.”
Forse il merito principale di questa sorprendente produzione di “Rigoletto”, già vista alla Fenice nel 2021 in pieno Covid dopo il debutto all’Opera Nazionale di Amsterdam nel 2017, è rappresentato dalla completa e singolare sintonia fra la concezione registica, dovuta a Damiano Michieletto, e quella musicale, espressa sul podio da Daniele Callegari. La lettura di Michieletto, infatti, imperniata su di un protagonista rinchiuso in un ospedale psichiatrico ove rivive l’intera vicenda in una lunga e angosciosa allucinazione, una lettura così dura, scabra, asciugata da ogni sentimentalismo ma offerta in tutta la sua nuda e spietata disperazione, trova piena rispondenza nella impostazione musicale di Callegari. Questi sembra mortificare ogni parentesi lirica della partitura, per scandirne lo sviluppo secondo un ritmo serrato, implacabile, trascinando il dramma in una corsa sfrenata verso il nulla. L’incubo perenne di Rigoletto, schiacciato dalla tragedia della morte della figlia di cui si sente ed è anche responsabile, quella sua allucinazione incessante popolata dal ricordo di Gilda bambina, dalla presenza sfrontata e invasiva del Duca e dall’agitarsi attorno a lui della massa senza volto e senza anima dei cortigiani, tutto questo universo cui torna a dare vita una mente malata si completa e si compie attraverso una esecuzione musicale a tratti quasi meccanica nella sua implacabile scansione, prosciugata di quegli indugi e di quegli squarci lirici che possano far supporre che, oltre la sofferenza delle vite schiacciate, si apra un altrove armonioso e pacificato. Insomma, il “Rigoletto” messo in scena da Michieletto non dà spazio alla speranza e la direzione di Callegari, sottraendo alla partitura quell’orizzonte lirico in cui la speranza trova una dimensione sonora, compie sul piano musicale ciò che la regia propone. Alla fine si assiste ad una serata memorabile, nella quale nulla è scontato, nulla sa di routine, ma tutto fa riflettere lo spettatore e, prima ancora, lo prende alla gola, lo scuote e lo conturba. Si esce dalla sala emozionati, sconcertati, magari ripassando mentalmente i limiti dello spettacolo come quelli della lettura musicale, ma con lo spirito del reduce che ha appena vissuto un’esperienza forte, artisticamente traumatizzante, di quelle che non si dimenticano. Come sarà difficile dimenticare tutti i momenti solo orchestrali, a cominciare dalle poche battute del preludio, spinti verso una tensione quasi insostenibile e mai udita prima almeno da chi scrive, così non può non restare nel ricordo l’immagine straziante di quell’uomo distrutto, annichilito, vagante per il palcoscenico nell’espressione di una sofferenza che non conosce requie. Su questi presupposti, di fronte ad un così elevato livello culturale ed artistico, non è il caso di indicare i limiti dello spettacolo e dell’esecuzione musicale, già sottolineati su “Asterisco” da chi scrive in occasione della premiere italiana del 2021. Michieletto, coadiuvato da Paolo Fantin (scene), Agostino Cavalca (costumi), Alessandro Carletti (luci) e Roland Horvath (video), sconta la propria creatività sbrigliata e a tratti geniale con una sovrabbondanza di immagini e simboli come Gilda bambina onnipresente sia in scena sia nei video; una sovrabbondanza che è incongrua in una visione così severamente e spietatamente essenziale della vicenda; ed è ovvio che la lettura di Callegari, stringente e quasi asfissiante nella sua assenza di oasi liriche in cui riposare e respirare, non giova al canto, che non si espande libero nei momenti in cui lo potrebbe ma resta sempre un po’ sacrificato, come ingabbiato. Così “Veglia o donna” suona meccanico, carente di sentimento ed umanità, e altrettanto può dirsi di uno spoetizzato “Caro nome”. Ma ‘tout se tient’ in questo indimenticabile “Rigoletto”, perché tutto è coerente con una concezione che dimostra come, partendo dal dramma e non stravolgendolo, si possano proporre spettacoli innovativi, anche trasgressivi, ma non fuorvianti, non ultronei rispetto a quanto suggerito dal libretto e dalla partitura. Certo, le forzature non mancano, sia nella regia come nella lettura musicale; eppure non fanno che riproporre al giorno d’oggi quella carica destabilizzante che gli spettatori dell’epoca percepirono in “Rigoletto” al suo primo apparire. Luca Salsi letteralmente si offre alla regia di Michieletto con totale disponibilità, accogliendone fino in fondo ogni stimolo, ogni suggerimento. Il risultato è un’interpretazione memorabile per la verità della presenza scenica angosciata, straziata, alienata nella gestualità ossessiva e irrequieta. Lo strumento, sontuoso come sempre per rotondità, omogeneità, pienezza di suono, sa piegarsi ad ogni esigenza della partitura con una varietà di colori, accenti e sfumature che non sorprende più chi segue questo eccellente artista, così felicemente e frequentemente presente alla Fenice. A un “Cortigiani” di una violenza inaudita, per esempio, corrispondono innumerevoli frasi sussurrate con straordinaria leggerezza. Da sottolineare, rispetto alla performance del 2021, l’apprezzabile rinuncia, soprattutto nel finale, ad effetti quasi di parlato allora apparsi forse troppo esteriori e plateali, a vantaggio di un canto spianato altrettanto emozionante ma più conforme allo stile verdiano. Anche il Duca di Mantova del tenore peruviano Ivan Ayon Rivas, già presente nel 2021 come il maestro Callegari, Salsi e alcuni comprimari, è perfettamente intonato all’impostazione dello spettacolo. Sicuro di sé sino alla sfrontatezza e oltre, si muove sul palcoscenico come a casa e incarna alla perfezione il ruolo del macho che, come recitava una pubblicità d’antan, ‘non deve chiedere mai’. Anche sul piano vocale la resa è coerente con la sottolineatura della componente arrogante ed egocentrica del personaggio, attraverso un canto che sfoga facilmente verso l’acuto e suona sempre insolente, quasi aggressivo. Quindi il tenore dà il meglio di sé dove può liberare la voce in un canto spiegato e squillante, come nella cabaletta “Possente amor mi chiama” e anche ne “La donna è mobile”, mentre altrove si vorrebbe un suono più morbido e rotondo, ottenibile con un’emissione più controllata ed omogenea. Così i momenti in cui l’artista cerca un canto più modulato sul piano, sembrano quasi giustapposti a quelli in cui il suono viene scagliato verso l’alto con squillo aggressivo, mentre le due fasi dovrebbero apparire l’una il completamento dell’altra senza soluzione di continuità. Maria Grazia Schiavo, apprezzatissima alla Fenice ne “La Fille du régiment” del 2022, è la Gilda, indifesa di fronte all’irrompere dell’amore, che ci si aspetta e che deve essere. La voce, forse in qualche momento in difetto di volume e di rotondità, dà il meglio nei passi più virtuosistici, come “Caro nome”, dove si impongono la tecnica impeccabile del soprano, il suo timbro squillante e adamantino e la sua facilità nel dominio del registro acuto. Lo Sparafucile di Mattia Denti è adeguato nella presenza scenica da bravaccio delle nostre tristi periferie urbane, mentre il canto, nonostante la buona padronanza del grave e l’indiscutibile professionalità, sembra quasi faticare a liberarsi e ad espandersi, e lascia un po’ a desiderare in quella connotazione minacciosa e lugubre pure indispensabile nella resa del personaggio. Misurata nel canto e nella presenza scenica la Maddalena del mezzosoprano Marina Comparato. Adeguati il Monterone di Gianfranco Montresor, anche se la parte richiederebbe un basso piuttosto che un baritono, e il Marullo di Armando Gabba. Apprezzabile, senza scendere in pedanti distinguo, il contributo degli altri: Carlotta Vichi (Giovanna), Roberto Covatta (Borsa), Matteo Ferrara (conte di Ceprano), Rosanna Lo Greco (contessa di Ceprano), Nicola Nalesso (Un usciere di corte), Sabrina Mazzamuto (Un paggio della duchessa). Impeccabile il Coro della Fenice istruito da Alfonso Caiani. Alla serale di martedì 11 febbraio il pubblico si scalda e si sgola per applaudire con entusiasmo tutti gli interpreti, a cominciare dal monumentale Luca Salsi, meritatamente oggetto di ovazioni interminabili. Ma sarebbe stato interessante cogliere qualche reazione di fronte alla spiazzante proposta teatrale e musicale, proprio per capire cosa...è stato effettivamente capito. Adolfo Andrighetti
La creazione di una “joint venture” per lo sviluppo dell’immenso mercato U.S.A. degli “sparanebbia” per l’abbattimento delle polveri industriali (oltre al consolidamento della presenza oltreoceano nel settore della ricambistica) è l’ulteriore novità degli obbiettivi 2025 della veneta Idrobase Group, azienda leader internazionale nell’utilizzo delle tecnologie dell’acqua in pressione e del “respirare sano”, presente oggi in 92 Paesi. A presentare le priorità annuali nell’ “headquarter” di Borgoricco, in provincia di Padova sono stati i contitolari, Bruno Ferrarese e Bruno Gazzignato, da sempre sostenitori delle alleanze strategiche, che hanno già portato alla nascita di una rete italiana d’impresa (Safebreath.net). Così, una convinta filosofia collaborativa sarà anche alla base della rafforzata presenza sul mercato africano, grazie ad accordi di produzione su licenza, conclusi con imprenditori algerini. Lì saranno trasferite alcune produzioni attualmente in carico all’unità produttiva Idrobase Ningbo, in Cina; assemblate con componenti in arrivo dalla casamadre italiana serviranno a realizzare prodotti di “cleaning” per i mercati d’Africa in crescita esponenziale. Nella sede centrale di Borgoricco prosegue intanto (terminerà nel 2026 con un investimento complessivo di mezzo milione di euro) l’implementazione del metodo Lean i tutti i comparti aziendali (dagli acquisti al finanziario) con grande attenzione alla valorizzazione del capitale umano; tale processo porterà ad un risparmio del 40% nei tempi di lavoro, permettendo maggiore formazione qualificata per i dipendenti, più tempo per ricerca ed innovazione, una riduzione selettiva del 15% sui prezzi di listino per garantire più penetrazione sui mercati e combattere anche la concorrenza a basso costo, pur mantenendo alta la qualità “made in Italy”. Grande attenzione sarà dedicata al “post vendita”, passando dalla logica della riparazione a quella della manutenzione preventiva, creando un network di installatori e manutentori garantiti. “Mantenere un macchinario in efficienza costa assai meno che provvedere a ripararlo” chiosa Bruno Gazzignato. Obbiettivo complessivo per il 2025 è incrementare del 13% il fatturato, oggi tornato a circa 15 milioni di euro dopo il rallentamento dovuto alle conseguenze del disastroso incendio del 2022 ed alle contingenze mondiali. “Da quell’esperienza – sottolinea Bruno Ferrarese - siamo usciti determinati a ricostruire l’azienda secondo criteri nuovi: dagli spazi di lavoro ai processi produttivi. I risultati ci stanno dando ragione.” Obbiettivo ancora più sfidante attende il 2025 dell’unità produttiva cinese Idrobase Ningbo: lì si punta ad incrementare il fatturato dell’80%, recuperando quote di mercato, perse a causa della crisi del mercato interno e della concorrenza a basso costo. “Il vento però sta cambiando ed i competitors locali si sono ridotti – conclude Ferrarese – Adeguando l’offerta alle aspettative di mercato, siamo convinti che la qualità sarà premiata.”
Grande soddisfazione alla Canottieri Mestre per l’attribuzione di due benemerenze durante la recente cerimonia svoltasi nel municipio di Cavarzere per la consegna dei riconoscimenti C.O.N.I. a dirigenti, tecnici ed atleti della provincia di Venezia. Ad essere premiati sono stati Alberto Vianello, insignito della Stella al Merito Sportivo come dirigente e Paolo Carraro, che ha ricevuto la Palma di Bronzo al merito tecnico come allenatore. Ogni anno il C.O.N.I., rappresentato a Cavarzere dal Presidente regionale, Dino Ponchio e dal Delegato per la provincia di Venezia, Massimo Zanotto, vuole così premiare personaggi, che si sono particolarmente distinti durante la propria carriera agonistica, dedicando tempo e passione allo sviluppo della pratica sportiva.
E’ a poca distanza dall’Italia, è una porta naturale verso l’Africa, gode di maestranze ben istruite, infrastrutture e costi del lavoro adeguati ad un piano di sviluppo d’area: così la veneta Idrobase Group ha individuato l’Algeria come “head quarter” per il proprio sviluppo nel Continente Nero, considerato uno degli obbiettivi principali del 2025. L’azienda, che ha sede a Borgoricco nel Padovano, è leader nei settori delle tecnologie per l’utilizzo dell’acqua in pressione e del “respirare aria sana”, riconosciuta portabandiera del “made in Italy” nel mondo. “Anticipando i nuovi scenari mondiali, stiamo lavorando da tempo per riposizionare le nostre strategie internazionali. Pur ribadendo e volendo consolidare la nostra presenza sui mercati della Cina e degli U.S.A., abbiamo deciso di investire nel settore del cleaning anche in Africa, continente dalle enormi potenzialità, aggiungendo così un tassello in linea con il Piano Mattei, indicato dal Governo” indica Bruno Ferrarese, Contitolare di Idrobase Group. Le peculiarità della vastità delle terre africane necessitano, però, di prodotti adatti alle esigenze dei singoli mercati. “Per questo – aggiunge Bruno Gazzignato, anch’egli Contitolare della “multinazionale” tascabile padovana - abbiamo deciso di spostare parte delle produzioni dall’unità produttiva cinese di Idrobase Ningbo all’Algeria dove, grazie a partnership con imprenditori locali, saranno assemblate con componenti in arrivo dall’Italia, dando vita a prodotti di buona qualità, ma con un prezzo adeguato al mercato africano.” Non solo Africa, però, nel futuro di Idrobase Group: all’indomani dell’annuncio sull’accordo strategico Italia-Arabia Saudita, l’azienda veneta rende, infatti, noto che il primo appuntamento fieristico 2025 sarà a Riyad.
Ridurre del 40% il tempo-lavoro per dedicarlo alla formazione ed essere pronti alle sfide dell’innovazione come l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale per lo sviluppo di prodotti innovativi: è questo uno dei visionari scopi della riorganizzazione aziendale della padovana Idrobase Group, diventata un “caso scuola” per la valorizzazione del capitale umano, proprio mentre il diritto al lavoro torna drammaticamente d’attualità anche in Europa; è la via nippo-veneta all’applicazione della metodologia Lean-Toyota, oggetto di un recente approfondimento della CUOA Business School, uno dei più qualificati centri formativi in “management” italiani. Il percorso di trasformazione aziendale è iniziato nel II° semestre dell’anno scorso e terminerà nel 2026, interessando tutti i comparti dell’ “headquarter” a Borgoricco (acquisti, produzione, magazzino, commerciale, marketing, amministrativo, finanziario). “Abbiamo due obbiettivi dichiarati per migliorare la nostra competitività sui mercati mondiali, condizionati in questo momento di crisi da prodotti a basso costo e qualità: abbattere del 15% i prezzi nei nostri listini, mantenendo caratteristiche e servizio made in Italy; contestualmente migliorare le performance di prodotto e di processo, valorizzando la professionalità della forza lavoro - evidenzia Bruno Ferrarese, contitolare dell’impresa - I risultati si stanno vedendo ad iniziare dai reparti, dove il metodo Lean è in fase di implementazione: acquisti, magazzino, produzione. Ciò ci ha già permesso di ridurre i prezzi della linea Spara Nebbia, liberando contestualmente energie da dedicare alla crescita professionale.” La trasformazione più evidente è l’abbandono della tradizionale linea produttiva, dove ripetitivamente ciascuno svolge una mansione, in favore invece dell’ “oasi produttiva”, dove le fasi lavorative sono interamente seguite dallo stesso addetto. Non solo: l’organizzazione di ogni reparto è “work in progress” attraverso costanti confronti interni per individuare criticità e proporre soluzioni. “Siamo un’azienda in costante cambiamento con l’ambizione di trasformare il mercato - chiosa l’altro contitolare del gruppo, Bruno Gazzignato - Da sempre riteniamo che un grande valore di Idrobase sia la capacità di fare squadra come dimostrato anche dall’immediata ripresa a seguito del grave incendio di due anni fa: dopo la realizzazione degli uffici dove si respira aria sana, ora stiamo valorizzando ogni apporto d’esperienza. Vogliamo osare quello, che gli altri non fanno, per contribuire a cambiare il mondo.”

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Per il ciclo di colloqui televisivi "Approfondimenti video" curato da Asterisco Informazioni, il direttore Fabrizio Stelluto conduce un’intervista con Federico Allamprese, fondatore e amministratore delegato di “Il Granaio delle idee” con sede a Maserà in provincia di Padova, circa 45 i dipendenti e un fatturato 2020 pari a 10 milioni di euro nella produzione intermedia di prelavorati della panificazione e della dolciaria che vengono utilizzati dai panettieri. Guarda qui l'intervista completa
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