Nostalgia alla 68a Mostra di Arte Cinematografica
30/08/2011
Oltre alla Retrospettiva dedicata al cinema italiano di ricerca anni ’60 – ’70, sembrano imperdibili due eventi speciali che ci riportano molto indietro nel tempo. Il 6 Settembre, insieme a Christiana Wertz, Presidente della Film Commission Altoatesina, Giorgio Gosetti, delegato generale della Giornata degli Autori, presenta nell’ambito di “Creatività e Territorio” il film restaurato di Luis Trenker “Der Kaiser Von Kalifornien” che vinse nel 1936 il Leone D’Oro a Venezia come miglior film straniero. E’ la storia di un emigrante della prima metà dell’800 che per motivi politici sbarca in California dove organizzerà un grande ranch condotto prevalentemente da coloni tedeschi. A causa della “maledetta” corsa dell’oro il protagonista perderà ogni cosa. Trenker è stato oltre che attore e regista, guida alpina, maestro di sci, pittore e violinista. Il suo approccio al cinema, prima come comparsa ed attore e poi film-maker, nasce dall’ammirazione per Arnold Fanck, maestro del cinema di alta montagna. Trenker, rivalutato oggi anche in Alto Adige, può essere considerato un pioniere per l’uso della cinepresa a braccio che riprende l’ambiente dal vivo con uno stile documentaristico assolutamente moderno. Lo stesso che possiamo ritrovare negli attori contemporanei che privilegiano la narrazione cinematografica attraverso le storie piccole, la grande storia ed i suoi documenti, sfidando i confini tra dimensione intima e collettiva. L’altro appuntamento imperdibile è la proiezione in esclusiva mondiale di “We Can’t Go Home Again” l’opera postuma di Nicholas Ray. Un film sperimentale girato da Ray con i suoi allievi dell’Harpur College. Ora, montato dalla moglie Susan Ray esattamente come lui avrebbe voluto (grazie alla Fondazione Nicholas Ray, Mostra del Cinema di Venezia, Museo Nazionale del Cinema di Torino) viene proiettato il 4 Settembre in Sala Grande, seguito da una tavola rotonda cui parteciperà anche Wim Wenders che nel suo “Lighting Over Water” (del 1980) filmava con straordinario amoroso coinvolgimento gli ultimi giorni di Ray. “Sapevo che voleva lavorare ancora, morire lavorando” – dice Wenders nel film. Ed infatti attraverso la cinepresa di Wenders, Ray trasformò la propria morte in azione artistica. Il regista riflette sulla propria esistenza fatta anche di compromessi, errori e ricordi. Il film viene considerato un vero atto d’amore di Wenders per il suo maestro di cui cita più volte “We Can’t Go Home Again”. Il film che vedremo indaga nel cuore di un gruppo sociale in un momento cruciale di storia politico culturale ed è quindi un documento prezioso, ma soprattutto è girato con ardite dissolvenze e con la tecnica dello schermo frammentato, nell’intenzione del regista di rappresentare l’attività della mente che mai si muove “in linea retta”. Un’operazione davvero perturbante ed una esplorazione avanguardista, forse tutt’ora ineguagliata, in quel cinema che Nicholas Ray considerava “la cattedrale delle arti”.
Mariateresa Crisigiovanni
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