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Il caffè: una storia da romanzo

09/01/2012
La leggenda sulla nascita del caffè affonda le sue radici nella notte dei tempi e narra che anticamente c’era un pastore nello Yemen, chiamato Kaldi, che un giorno si accorse che le capre erano insolitamente agitate e la notte non prendevano più sonno. Decise di tenerle d’occhio e si accorse che brucavano strane bacche che davano loro quel senso di euforia e che vennero raccolte dai monaci del vicino monastero per farne un decotto che risultò essere amaro e vivacizzante, di colore nero e che infondeva profondo benessere e vigore.

La bevanda fu chiamata kawek, che significa “eccitante”, ma esistono altre fonti secondo le quali il nome deriverebbe da kahveh dall’arabo qahwah, come in origine veniva chiamata una bevanda prodotta dal succo di alcuni semi spremuti. Caffè è senz’altro legato anche all’altopiano di Kaffa, nell’Etiopia sud-occidentale, luogo d’origine della pianta, e comunque tutti sono concordi sulla sua origine africana e sulla successiva diffusione al seguito dei soldati etiopi nello Yemen e nella penisola arabica durante le guerre del XIII e XIV secolo.

Beduini e indigeni usavano le bacche del caffè come alimento energizzante e le impastavano con il grasso animale per ottenere dei pani da consumare durante le lunghe traversate nel deserto. Dopo l’anno Mille la pianta sarà importata nella penisola arabica e verrà utilizzata come bevanda ricavandone un infuso nato dalla macerazione e successivamente portando ad ebollizione il decotto. La tostatura dei chicchi avvenne per casuale scoperta: probabilmente fu a causa di un incendio che la pianta subì un cambio di stato chimico e diffuse nell’aria il classico aroma da sempre ben conosciuto. Da quel momento in poi il caffè venne sempre utilizzato in questo modo e non più con i chicchi crudi, bensì macinati e ridotti in polvere miscelata poi ad acqua.

Molto più tardi il caffè giunse in Europa e toccò Venezia in prima battuta. Nella città veneta si diffuse rapidamente e l’acqua veniva aggiunta alla polvere tritata, metodo perfezionato poi a Napoli secondo cui l’acqua passava attraverso il caffè e non era più aggiunta sopra: l’antenato delle moderne caffettiere.

Nel XIV secolo la bevanda arriva nei Paesi arabi, in Egitto, Siria e Turchia e fu denominata “il vino degli Arabi” perché era un’ottima alternativa alle bevande alcoliche proibite dal Corano. Si racconta che l’Arcangelo Gabriele venne sulla terra per la terza volta(dopo essere apparso a Elisabetta e a Maria per annunciare loro le rispettive gravidanze) e consegnò un elisir al profeta Maometto che era stato colpito dalla malattia del sonno perpetuo e che lo bevve recuperando forza e salute al punto da riuscire a disarcionare 40 cavalieri e soddisfare altrettante donne.

Tramite le comunità sufiche il caffè divenne molto popolare ed utilizzato soprattutto dai fedeli che si recavano alla Mecca e durante le lunghe veglie di preghiera notturne, per non cadere vittime del sonno. Ben presto i territori islamici divennero di proprietà di questa bevanda, mentre la diffusione in Occidente si deve ai Turchi.

Nel 1615 i Veneziani fiutarono l’affare e divennero importatori dei cicchi grazie agli ottimi rapporti commerciali con l’Oriente facendo capo al porto di Moka(oggi non più esistente), sul Mar Rosso. Inizialmente fu venduto nelle farmacie come medicinale curativo, poi si diffuse come bevanda su larga scala alla fine del XVII secolo. Venezia mantenne il predominio su questo commercio fino agli inizi del ‘700, seguito poi a ruota da Olandesi, Francesi e Portoghesi.

I primi lo esportarono a Giava e Sumatra verso la fine del 1600 grazie all’intraprendenza di uno di loro che riuscì a trafugare alcuni arbusti agli Arabi, i quali, per avere il monopolio, erano soliti tostare i chicchi per evitare che potessero essere ripiantati altrove. Preso l’Olanda regalò alcune piante di caffè a Re Sole in segno di amicizia ed ecco che il testimone passò alla Francia grazie al suo successore, Luigi XV, che vide le piante fiorite nelle serre di Versailles e aprì la via dell’esportazione verso Martinica, Guadalupa, Santo Domingo e Guyana, facendo sì che l’isola dominicana diventasse in pochi anni il produttore numero uno di caffè al mondo.

I Portoghesi fecero arrivare il prodotto in Brasile grazie alla corte serrata che un giovane ufficiale fece alla moglie del governatore della Guyana. Le piante furono piantate inizialmente nel Nord del Paese, poi a Rio de Janeiro, infine a San Paolo e Minas e grazie al calore tipico della zona poterono fiorire rigogliose. Il caffè divenne così la principale risorsa economica del Paese e fu esportato in Messico, Venezuela e Colombia.

Nello stesso periodo anche gli Inglesi in Giamaica e India e gli Spagnoli nelle Indie Occidentali si dedicarono alla coltivazione del prezioso arbusto e nel giro di tre secoli il caffè è diventato simbolo di amicizia e incontro in tutte le culture ed i Paesi del mondo, unendo generazioni e i più disparati target di persone di ogni ceto sociale, livello ed estrazione culturale. Ma che ne è stato dell’Africa, sua patria di origine? Lì la bevanda è stata conosciuta grazie all’opera dei missionari che all’inizio del 1800 ne reintrodussero la coltivazione in Kenya ed Uganda grazie all’opera dei contadini del luogo e fra le storie simpatiche che circolano sul caffè una vale la pena di essere raccontata e che riguarda l’arrivo della bevanda nel Nuovo Mondo grazie ad un capitano e luogotenente di fanteria francese d’oltremare: Gabriel De Clieu, di stanza sull’isola di Martinica.

Era il 1723 e il Nostro, durante un viaggio a Parigi, riuscì ad ottenere una piantina di caffè dal giardiniere di corte. Nel maggio di quell’anno partì all’avventura portando la sua strana compagna di viaggio con sé e per non farla morire per il caldo durante la traversata divise la sua razione d’acqua con la pianta. Una volta trapiantata in Martinica essa generò un raccolto talmente fruttifero che in soli tre anni tutta l’isola ne venne invasa e questo fece sì che si aprissero le esportazioni verso le isole vicine. Al contempo stava andando persa la coltivazione del cacao per cause naturali e questo favorì lo sviluppo del caffè.

Bevanda tenuta in grande considerazione nel mondo arabo, è sempre stata invece vista con occhio negativo dai teologi che ne criticavano gli effetti eccitanti contrari alla religione islamica. Secondo gli studiosi dell’epoca era un dissetante nocivo ed impuro e assieme a tabacco, oppio e vino fu messo al bando come alimento demoniaco. Le botteghe dove veniva distribuito gratuitamente erano additate come luoghi di perdizione e di rifugio di ladri e malviventi, come recitava un decreto di polizia del 1695. Nonostante i tanti divieti imposti il caffè continuò ad essere una bevanda consumato e conosciuta in maniera sempre più esponenziale e divenne simbolo della libera opinione.

Anche nel mondo cattolico è sempre stata vista come simbolo della tentazione satanica e si narra che alla fine del XVI secolo un gruppo di vescovi incontrò Papa Clemente VIII per far interdire il caffè come bevanda nera come il peccato e quindi di certa provenienza infernale, ma il Papa chiese di assaggiarla e la apprezzò talmente tanto da promuoverla come dissetante ufficiale del Cristianesimo.

Inizialmente furono le donne le acerrime nemiche del caffè, perché vedevano gli uomini passare notti intere nelle botteghe per consumarla, e nel 1674 in Inghilterra fu pubblicata una petizione secondo cui era la causa dell’impotenza maschile. Nel Seicento fu indicata come causa dell’omosessualità a causa del continuo frequentarsi fra uomini per berla assieme, ma successivamente le donne iniziarono ad apprezzarla perché favoriva l’incontro e il dialogo amicale, fino a quando in Turchia fu approvata una legge secondo cui la separazione coniugale poteva avvenire se il marito rifiutava alla moglie la possibilità di bere caffè.

Oggi tutti ne consumano almeno due al giorno, sia per sottostare ai ritmi di vita e di lavoro spesso frenetici e stressanti, sia come rito di ritrovo per fare due chiacchiere e staccare per un breve arco di tempo dai propri impegni. Il gusto e l’aroma delle numerose tostature rende piacevole il rituale, un po’ come il the delle cinque per gli Inglesi, e senz’altro la lunga storia che il caffè ha alle spalle ne dimostra il valore economico e commerciale come preziosa risorsa di ormai tutti i Paesi del mondo.

Alfredo Zavanone

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