Sindaca o monaca
Ancora una volta Otto Marzo, ancora una volta si parla di donne, si propongono modifiche, ci si confronta, si analizza, si discute, si scrive, si recita, si festeggia. E’ una festa complicata e complessa in cui tutti e tutte discutono di ruoli, genere, quote, azioni positive, buone pratiche, asili nido, identità, lavoro, violenza. Ed è giusto che sia così.
La sensazione che pervade molte di noi sul senso di questa festa è, però, contraddittoria. Rimane infatti forte la percezione di un ritardo culturale ancora enorme, anche da parte (ahimè) delle donne stesse. La donna viene ancora troppo percepita come priva di soggettività, sempre subordinata a gabbie mentali, che in moltissimi casi si trasformano in gabbie fisiche, costrizioni, soprusi, violenze, morte.
La pubblicità, la televisione e i media in generale, continuano a proporre modelli di donne che rappresentano schemi triti e ritriti: donna di casa, madre premurosa fornitrice attenta di merendine e di bucati smaglianti (con annesse occhiatacce nei confronti di altre donne che osano sfidare tanto bianco!) dispensatrice di sorrisi ebeti per il marito (esausto per aver consumato le migliori energie al lavoro!) sempre fornite di scope più veloci della luce. Oppure donna tigre, sensuale, che beve liquori con sguardi vogliosi, con vestiti improbabili, distesa su automobili che trasudano calore dal cofano, come fosse un corpo maschile.
Il problema vero è che sono anche donne a perpetrare simili modelli: per mille motivi, ma il triste è che vengono tradotti come modelli di emancipazione, come libertà di scelta, volontà individuale.
E nel mentre si sono moltiplicati i cofani bollenti delle auto, si sono altresì svuotati organismi di partecipazione, sedi di confronto, reti di donne.
Quella che era lotta incruenta per la vera emancipazione sembra diventata passività. Anche l’altra metà del cielo sembra aver scoperto il concetto molto terreno della delega e quando una donna delle Istituzioni si batte per le quote rosa o per farsi chiamare sindaca anziché sindaco, quasi si grida al miracolo!
Certo è fondamentale modificare il concetto del linguaggio e la presenza delle donne negli organismi decisionali, ma i tempi sono biblici e la politica è ormai troppo lontana dalla realtà.
Le donne “normali”, in attesa di questi epocali cambiamenti, ogni giorno mandano i figli in scuole sempre più disorganizzate, si immergono in una città lavorativa con sempre meno mezzi pubblici, portano i loro figli (se va bene e il reddito lo permette) in strutture sempre meno pubbliche (perché il pubblico non ha più soldi) arrivano al lavoro ringraziando il cielo se ce l’hanno ancora (perché, nell’attesa dell’autobus, il datore di lavoro potrebbe già averle licenziate o ridotte a precarie a “loro insaputa”) e poi di nuovo di corsa a prendere i figli perché l’asilo chiude, passare dai genitori anziani, fare le spese e poi a casa a preparare la cena e a organizzare tutto per il giorno dopo…!
E la sera guardando la televisione provano, magari solo per un attimo, una punta di invidia per quelle donne sedute sui cofani caldi delle auto metallizzate: belle, profumate, truccate.
Ma è solo un attimo: sanno che la vita reale non è quella.
La vita vera ricomincia. Per fortuna.
Buon Otto Marzo, donne vere!!!
Cristina De Rossi
Foto:
Viso di donna
Opera dell'artista armeno Vanadur, eseguita nell'anno 2000 con tecnica ad olio su tela di dimensioni cm 50x40.
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