Questo sito utilizza cookies di terze parti per la condivisione degli articoli    accetta rifiuta Informativa

Asterisco Informazioni di Fabrizio Stelluto

Agenzia giornalistica, radiotelevisiva e di comunicazione

Intervento di Bepi De Marzi al Convegno A.R.G.A.V. di Lonigo

16/04/2012
Intervento di Bepi De Marzi al Convegno A.R.G.A.V. di LonigoSi è tenuta a Lonigo, in provincia di Vicenza, l'assemblea dell'A.R.G.A.V. (Associazione Regionale Giornalisti Agroambientali di Veneto e Trentino Alto Adige). A corollario dell'incontro, si è tenuto il convegno "Lo spreco alimentare (ma nono solo) nel tempo della crisi" introdotto da una prolusione del poeta e musicista, Bepi De Marzi e di cui riportiamo il testo integrale:



Risi e bisi, riso e suca, risi e verze, risi e bruscandoli, riso e late, risi e tajadele pa' i siuri. Riso e piselli, riso e zucca, riso e verza, riso e luppolo, riso e latte, riso e tagliatelle per i meno poveri.

A levante di Vicenza ci sono le poche risaie di Grumolo delle Abbadesse che non tutti conoscono. Mio nonno, fornaio a Castello d'Arzignano, andava a Grumolo in bicicletta con il fido amico Toni dei Fiori, anarchico. Portava una sacchetto di rosette e di mantovane che scambiava per un sacchetto di riso. "On pugno de riso par tuta la fameja, ma coto ben, che 'l para tanto, da smissiare a l'erba". Un pugno di riso per tutta la famiglia, e cotto bene, che sembri tanto di più, da mescolare alle erbe dell'orto.

Qui, dove digradano le colline che noi chiamiamo Monti, i Monti Berici. Da qui si apre verso nord il breve spazio che si arresta alle prime valli dei Monti Lessini che portano al Trentino. Quasi tutti i vicentini, i Veneti, che io non chiamerò mai nordesti, o peggio, celtopadani, praticano poco o non conoscono questi Monti che si snodano ad arco da levante a ponente, dalla punta del Santuario vicentino di Monteberico fino a Orgiano, dove i Berici sembrano affondare dolcemente nella pianura che porta alla Grandi Valli Veronesi; valli bonificate, antiche di canali, di fiumi, di copiose risorgive. Ma poco a sud di Verona, prima di Legnago, nei campi più struggentemente distesi e meglio coltivati del Veneto, è stata progettata una distruzione che prevede terrificanti insediamenti commerciali e perfino un autodromo più grande di quello di Monza.

A levante di questi Monti, nelle poetiche campagne che vanno ai Colli Euganei, avanza giorno a giorno la devastante autostrada detta Valdastico, all'origine chiamata anche Pi-Ru-Bi, acronimo di Piccoli, Rumor e Bisaglia, gli ideatori dell'opera pubblica nel defunto tempo democristiano.

Questi Monti, che non raggiungono nemmeno i 500 metri, hanno strade che sembrano di nuvole, di cielo; sentieri e antiche cavedagne di fatica e di saggezza tra i coltivi a terrazze; strade nascoste tra la vegetazione o dolcemente incassate nelle valli d'ombra. La Valle più marcata è la Val Liona, non molto lontana da qui, che li taglia a metà, con grosse contrade che paiono dei fortilizi: Villa del Ferro, San Germano dei Berici, Spiazzo di Grancora, Pozzolo. A Pozzolo avevano aperto una terribile cava di bentonite. E sapete bene che dove si estrae la bentonite, la polvere sottile si spande micidiale nel vento come la cenere di un'eruzione vulcanica. Contro questo scempio abbiamo combattutto una lunga battaglia. Ma opporsi alla cupidigia dei cavatori si finisce sempre nell'amarezza della sconfitta.

A pochi minuti da questa immensa cantina, salendo verso levante, verso il bianco campanile di Grancona, si incontra il Museo della Civiltà Contadina realizzato da un romantico e sapiente contadino che, tornato da lunghi e sofferti anni da emigrato nel nord della Francia, dove veniva dileggiato e umiliato come "Mussolini Macaroni", ha raccolto tutto ciò che potesse raccontare la vita su queste alture semisconosciute. Ha perfino decine di trattori, compreso l'imponente Super Landini "a testa calda" che pare un fantastico vascello delle galassie. Si chiama Carlo Etenli: è per me un amico e un maestro di coraggio nella verità della memoria.

"Risi e bisi, riso e suca, risi e verze, risi e bruscandoli...".

I boschi di questi Monti non hanno legni pregiati, ma vibrano nella forza spontanea dei Carpini, dei Roveri. La costiera di Levante che scende alla pianura da Vicenza, quasi facendo capo alla Rotonda di Palladio appena alta sul poggio, viene chiamata Riviera Berica, con una strada che arriva a Noventa per superare poi il confine con Padova e girare verso Este o Montagnana. La strada Riviera, in molti tratti, pare quasi un'antica Via Pelosa, con un largo fossato parallelo, per cui i luoghi di passaggio si chiamano Ponti: Ponte di Nanto, Ponte di Costozza, Ponte di Mossano, Ponte di Barbarano...

Ci sono infinite tradizioni, leggende, fiabe, proverbi, piccoli e grandi misteri. Ci sono conventi ancora abitati sulle prime alture, e grotte di eremiti perduti nel tempo, covoli preistorici. Qua e là si taglia la Pietra di Vicenza, tenera, porosa, usata anche nelle botteghe dei Marinali che scolpivano le allegoriche statue delle Ville Venete. In queste Ville solamente estive, l'ostentata ricchezza veneziana arrivava con i barconi che partivano dalla laguna, tirati dai cavalli lungo gli argini nel reticolo di canali che ancora impigriscono nelle campagne sempre più abbandonate.

A raccontare tutto questo è soprattutto una nobilissima signora, Mirella Brojanigo, che abita nella parte di mezzogiorno, dove ormai è grande pianura, a Colloredo di Sossano. Ogni suo raccontare è uno slancio poetico, avvincente, perfino musicale. Poco lontano c'è Campiglia dei Berici, dove un'altra anziana donna, che fa il sindaco, tralascia ogni tentazione poetica per dichiararsi celtopadana devota di Capezzone. Chissà perché di Capezzone, poi. Sarà magari per le sue disinvolte evoluzioni acrobatiche tra i partiti; acrobazie che purtroppo si avvertono anche su questi Monti, lasciando strascichi di esilaranti manifestazioni nella cosiddetta e tanto sbandierata identità.

"Risi e bisi, riso e suca, risi e verze, risi e bruscandoli...". Ma è questa, l'identità!

Eravamo tranquilli e operosi democristiani. Ora mi vergognerei a dirvi ciò che siamo diventati.

L'identità! L'identità non ha bisogno di essere organizzata, e nemmeno cercata. Come non si impara a scuola il dialetto, che nei Berici è un misto di padovano con la elle evanescente nella Riviera di levante, di sibilante rodigino nello slargo di Mezzogiorno, poi vagamente veronese, con il suono grave, rasposo e friggente in cantilena a discendere, proprio della parte occidentale, quella dove oggi ci troviamo.

C'erano filande, nei luoghi più popolosi, perciò si coltivava anche il gelso, il moraro. "Le bronse de moraro le scalda el leto", si diceva, "e fin che le se fa, le ciacola". Le braci di gelso scaldano le lenzuola negli inverni e nel formarsi pare che parlino. Piacevole, infatti - e per me è anche commossa nostalgia - era lo scoppiettio del gelso, del moraro, che bruciava nella stufa o nel camino. Piacevole, anche se lasciava un originale olezzo di pipì.

E ci sono costiere ancora inverdite dagli ulivi, ricordo di una coltura molto diffusa e via via quasi del tutto abbandonata.

Ma lungo la Riviera e nelle vallette di levante ci sono tradizioni culinarie per noi significative, anche poetiche: i bisi de Lumignan, i piselli di Lumignano, le piccole erbe chiamate Rampussoli a Villaga, i Bruscandoli, il luppolo, le verze che prendono la nebbia e la calaverna nella giusta misura, il broccolo fiolaro, del quale si sono impossessati quelli di Creazzzo, a ovest di Vicenza, che "con il broccolo fiolaro", come raccontano i contadini dei Monti Berici, "non si accorgono di avere scoperto l'acqua calda". Pensiamo al Tokai Rosso di Barbarano. C'è una radicata tradizione di buone uve perché il terreno ha poco muschio ed è subito sassoso. C'era l'uva Moschina, la S-ciava, poi la Garganega. No, la Durella no, anche se le cantine intorno, da Alte di Montecchio fino al Veronese, producono Vino Durello in grandi quantità. E oggi il Durello è diventato anche spumante, da far invidia allo Champagne, che se lo sa la Guardia di Finanza viene a fare un'ispezione per controllare il reddito dei bevitori di Durello Spumante da venti euro la bottiglia.

E speriamo che non arrivi anche qui la vendemmia meccanica. Anzi, io spero sempre più che venga eliminata perché si infilano nella spremitura nidi e lucertole, topi e soprattutto quei micidiali pidocchi, le cimici verdi, repellenti e puzzolenti, che rovinano intere annate di vendemmia.

"Risi e bisi, riso e suca, risi e verze, risi e bruscandoli...".

Finisco questa ambientazione prima della vostra assemblea qui nella Cantina che pare entrare nel bosco, nel monte, con qualche immagine che vorrei teneste viva nel vostro discorrere, nel vostro parlare, quasi fosse il calore dei ceppi di gelso sul camino delle nostre case contadine.

La prima è l'immagine del tavolo. Dio mio, il tavolo! "Ci troviamo intorno al tavolo, con il piedi sotto il tavolo, la felicità del tavolo, la serenità del tavolo, della tola, della tavola del desco...". Ma ce l'hanno tolto, il simbolo del mangiare frugale o in allegria tra amici. Oggi il tavolo sa di sindacati, di politica, di rivendicazioni, di finte discussioni, di impossibili collaborazioni, di utopistiche intese. La politica apre tavoli e non combina niente.

C'era la serenità del desco. Oggi, a essere sereni sono solo gli indagati o gli arrestati. C'è un vicentino arzignanese di nome Ghiotto, evasore totale, giovane maestro di intrallazzi, che dovrà affrontare processi e multe stratosferiche. Ma dice anche lui: "Sono sereno".

Mi vien facile ora parlare di musica, magari di Vivaldi. Quando con I Solisti Veneti sono andato in Messico, dopo un concerto a Guanajuato, l'incredibile città dell'argento ai piedi del Cerro la Giganta, siamo stati invitati a un grande pranzo notturno. C'erano, a tenere allegra la notte, tre gruppi di quei caratteristici suonatori di strumenti a fiato, chitarre e percussioni. Ma non si erano messi d'accordo sulla successione delle suonate, sull'alternanza, e litigavano come solo i messicani e quelli della sinistra italiana sanno litigare. Perciò suonavano contemporaneamente, sparando alle stelle musiche diverse, con un frastuono incredibile che, se subito poteva anche divertire, poi è diventato un incubo insopportabile. Ecco, per me, quando nei pranzi portano un piatto con i bis o con i tris, mi trovo dentro al suonare dei complessi messicani, nel grottesco di tre mangiari che diventano un unico e ingiustificabile pastone. E magari, per ogni pugnetto di roba, si raccomanda un vino diverso. Così ci si trova con una sequela di bicchieri difficile da maneggiare se non ci sono le istruzioni. Anche i secondi vengono proposti in fantasiose misture - spesso in un unico grande piatto che ricorda i vassoi militari - con inimmaginabili accostamenti ingentiliti da improbabili slanci poetici che terminano quasi sempre sul micidiale "talamo di rucola".

E nei matrimoni, oh, nei matrimoni! si continua a proporre in poche ore di partecipazione coatta ciò che si consuma in un mese di abbuffate. I nubendi hanno l'obbligo dei corsi per fidanzati, dove non si parla quasi mai di questo spreco vergognoso, dove, purché venga scelto il matrimonio in chiesa, si tollera la ridicola moda della sposa in sottoveste, con la schiena al vento e la scollatura da bronchiti croniche attenuata, ma non sempre, da maliziose trasparenze di veli bianchi.

Si accende la televisione e ci sono pentole ovunque. La nonna di Filippo ha raccomandato al nipote di non guardare i vari programmi leggeri dove le presentatrici e le ospiti sono in prendisole; ma Filippo ha fatto notare che anche le presentatrici delle ricette e dei fornelli mostrano le tettone come le ragazze del Grande Fratello o dell'Isola dei famosi. Potremmo chiamare questi programmi "Il grande fornello" e "La superpentola dei famosi". E la mattina ci sono anche le lezioni per i bambini delle scuole dove si insegna a tagliare le anguille ancora vive. C'è sempre un Pierino che esprime subito questo sadismo esibizionistico. Mia cugina Loretta, di otto anni, a mio zio che tornava dalla caccia ai fringuelli a alle cesene, chiedeva: "Popà, gheto copà?", papà, è andata bene? gheto copà? hai ucciso?

C'era una specie di proverbio, per chi impastava le tagliatelle nelle nostre case contadine: "Le tajadele se impasta e se tira sensa anei e sensa bracianei", le tagliatelle si impastano senza anelli e senza braccialetti. Le nostre madri si toglievano anche la fede nuziale, per impastare. Ora vediamo le sussiegose massaie invitate nelle trasmissioni che girano uova e farina con le mani inanellate fino ai pollici, i braccialetti tintinnanti che entrano nei soffritti, gli orecchini dondolanti come ostensori e le collane sovrapposte, forse ispirate dalla ministra Fornero che si presenta a parlare di tagli alle pensioni addobbata come per la cresima o la prima comunione.

"Risi e bisi, riso e suca, risi e verze, risi e bruscandoli...".

Qui, in molti luoghi dei Berici, è arrivata con tutto il suo torvo armamentario anche una marcata e imprevedibile xenofobia. "On piato in tola sempre pronto par chi che passa", dicevano le nostre nonne contadine. Ma i nuovi sindaci spingono fuori dall'abitato le botteghe degli immigrati. Secondo questi amministratori, che confondono l'identità con la parlata locale che, come dice Meneghello, "si parla ma non si scrive, e non si deve studiare a scuola", secondo questi ineffabili dialettomani, kebab dovrebbe aggiornarsi in Rodolon, o Brustolon. E si perseguitano con sanzioni insensate, anche qui vicino, gli immigrati che hanno trovato casa ma con una cubatura di qualche centimetro inferiore alle perverse regole inventate dalle nuove giunte comunali. A Montecchio maggiore, appena di là, proprio ai piedi dei castelli di Giulietta e Romeo, dove nel giardino di una villa neoclassica di proprietà della Provincia leghista si è conclusa l'ultima tappa del Giro della Padania, la giovane sindaca ha ordinato di dare pane e acqua ai bambini stranieri in difficoltà con la retta della scuola materna.

Si inventano feste della birra e le sagre non si chiamano più sagre ma "Palio" di qualcosa. Gli agriturismi, che ricevono le sovvenzioni pubbliche, continuano a proporre pizze, a offrire la polenta col mestolo o col cucchiaio che pare una smerdolatina; quando i nostri contadini la versavano sul tagliere per poi abbrustolirla con le braci parlanti del gelso o con i legnetti delle viti appena potate, perciò soffianti e vivaci come per piccoli colpi di vento invernale.

E con l'intolleranza verso i poveri del mondo si perde la saggezza, l'onestà e la poesia del vivere; si perde la fede delle devozioni espresse con le preghiere, con i canti lungo i Tempi della liturgia. Chi ricorda più le Rogazioni tra i campi nei mattini di maggio?

Questi monti hanno luoghi con nomi di Santi. Oh, se poteste vedere l'incanto di San Giovanni in Monte! Ma le chiese sono sempre più vuote anche sui Berici, dove si ricordano eremiti, frati solitari nelle grotte, nei covoli misteriosi.

C'è perfino un lago, in uno slargo suggestivo a levante, il Lago di Fimon. Si pescava soprattutto il pesce gatto che diventava una prelibatezza nelle osterie di Lapio, Pianezze, Villabalzana. Una di queste si chiamava La Morejeta. Ma ora, nel lago dal colore della torba si aggira, vorace e implacabile come un commensale da matrimonio, il pesce siluro, immesso non si capisce con quale perversione da alcuni pescatori. E diventa pericolosa perfino una gitarella in barca che a Fimon era tenerezza di innamorati.

Vivaldi ha scritto settecento Concerti che nella forma propongono quasi tutti un Allegro di tre minuti, un Adagio che dura poco meno e un Vivace finale. Davanti ai piatti con i tris, e qui ribadisco il mio disgusto, anche la mia tristezza, pensate ai musicanti messicani che si accaniscono a suonare insieme musiche diverse o a uno "sconcerto" di Vivaldi, dove i violini suonano l'Allegro mentre le viole suonano contemporaneamente l'Adagio e i violoncelli con il contrabbasso e il clavicembalo interferiscono con il Vivace.

Un'ultima immagine. Si insegni ai camerieri a non elencare il menu cominciando con "allora", oggi imperversante come il "come dire" Ma li avete sentiti? anche i telegiornalisti esordiscono con l'inaccettabile "allora". E proibire ai camerieri di usare il famigerato "piuttosto" quando elencano le specialità della cucina.

Come se Bepi del Brolo - quando entrava nella ben fornita caneva appena illuminata da una fioca lampadina di 40 candele, la caneva profumata dalla giusta umidità che ovattava ogni suono, ogni rumore di passi sul tufo o sulle piccole pietre - avesse confidato agli amici, indicando le piccole botti e le fiasche: "Sto ano a go fato tanto bon vin: el merlò pitosto che el crinto pitosto che 'l durelo pitosto che el recioto pitosto che la graspia pitosto che el vin picolo par le done che speta pitosto che 'l moscato par la messa de l'ansiprete ame". Quest'anno ho fatto tanto buon vino: il merlot piuttosto che il clinto piuttosto che il durello piuttosto che il recioto piuttosto che l'acquetta da torchio piuttosto che il vinello per le donne in gravidanza piuttosto che il moscato per la messa dell'arciprete amen.

Un proverbio di queste parti (io detesto dire territorio) dice: Pitosto de pitosto ze meio pitosto".

Da qui si può vedere la grande villa detta La Favorita, luogo che si affitta costosamente per i banchetti matrimoniali con i mangiari più elaborati e strani portati dai i camioncini del "tutto pronto". È l'apoteosi della finzione, dello spreco, della follia esibizionistica. Pochi mesi orsono, dopo un'adunata oceanica a Vicenza del cosiddetto parlamento padano, futuri triumviri, addobbati quadrumviri, centurioni e coorti, vassalli, valvassini, valvassoni ossequiosi e obbedienti, si sono abbuffati fino a sera proprio nella villa noleggiata, lo speriamo, con i soldi dei rimborsi elettorali.

Qui davanti, oltre la strada, scorre placidamente il piccolo fiume Brendola che si forma in rivoli nello slargo più ampio e luminoso dei Monti Berici; poco più a nord passa il torrente Agno, che uscendo dalla sua Valle, dopo Trissino, prende il nome di Guà. E ancora più su, oltre la ferrovia e l'autostrada, c'è un altro torrente, il Chiampo, che dà il nome alla valle dove sono nato. Una valle con decine e decine di concerie ora in crisi, con centinaia di immigrati disperati senza più lavoro. E non sappiamo proprio cosa fare per loro che hanno famiglie e figli che vanno a scuola, bambini nati qui, ma considerati stranieri dal nuovo razzismo italiano.

A Chiampo è nato il poeta Giacomo Zanella. L'ultima immagine la prendo da una sua poesia, quella della vite opposta all'opulenza sfacciata dell'alloro...

..... Te, poverella vite, amo,

che quando fiedon le nevi i prossimi arboscelli

tenera, l'altrui duol commiserando

sciogli i capelli.

Tu piangi, derelitta, a capo chino

sulla ventosa balza. In chiuso loco

gaio frattanto il vecchierel vicino si asside al foco.

Tien colmo un nappo; il tuo licor gli cade,

nell'ondeggiar del cubito sul mento;

poscia floridi paschi ed auree biade

sogna contento.

(Lonigo, 14 aprile 2012, Bepi De Marzi nel Convegno dell'A.R.G.A.V.)

Asterisco Informazioni
di Fabrizio Stelluto
P.I. 02954650277


e-mail:
info@asterisconet.it
redazione@asterisconet.it
telefono:
+39 041 5952 495
+39 041 5952 438
fax:
+39 041 5959 224
uffici:
via Elsa Morante 5/6
30020 Marcon (Ve)
Cartina

Questo sito è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell'art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana che così dispone: "Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione".
La pubblicazione degli scritti è subordinata all'insidacabile giudizio della Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di collaborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito.
Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche e materiali redazionali inviati al sito, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.

  • Asterisco Informazioni
  • Direttore:
    Fabrizio Stelluto
  • Caporedattore
    Cristina De Rossi
  • Webmaster
    Eros Zabeo
  • Sede:
    via Elsa Morante, 5/6
    30020 Marcon
    Venezia
  • Informativa cookies