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Asterisco Informazioni di Fabrizio Stelluto

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Omaggio a De Santis, regista corale

23/08/2012
A sessant’anni dalla prima proiezione, ritorna, come pre-apertura della Mostra del Cinema di Venezia 69, lo splendido film di Giuseppe De Santis “ Roma ore 11” del 1952. E sarebbe piaciuto molto al regista, considerato uno dei maggiori protagonisti del Neorealismo cinematografico italiano, lo spazio scelto dagli organizzatori: la popolare Arena di Campo San Polo.

Il livello di fruizione ha infatti caratterizzato tutto il suo cinema, rendendolo un intervento politico di forte immediatezza il suo protagonista è stato quasi sempre il popolo con la sua sofferenza e le sue contraddizioni sulle quali De Santis ha basato tutto il suo approccio strutturale fino a rendere ogni suo film leggibile a chiunque. Quando negli anni ’40 collaborava alla rivista “Cinema” scriveva come critica al cinema di quel periodo “una cosa che non si sente nel cinema dei giovani italiani è l’Italia. Sono storie che non riguardano mai l’uomo nel suo rapporto con la società ed il territorio”. Del resto il giovane critico aveva Verga come modello letterario.

Negli anni ’50 è stato forse il regista italiano più richiesto dai produttori ed il più odiato dai critici, pure quelli di sinistra, poiché pur potendo aspirare al Leone d’Oro, godeva di un grandissimo successo commerciale. Tuttora è noto ai più per “Riso Amaro” il film scritto con Lizzani sulla dura lotta per la vita delle mondine, che nel 1949 ottenne la nomination agli Oscar per il miglior soggetto. Ma in “Roma ore 11” sicuramente il suo film migliore, De Santis ha posto un misto di ideologia e passione considerando uno spaccato della realtà popolare romana senza cadere nella tipicità folkloristica. Il neorealismo aveva trascinato fuori dai teatri di posa la macchina da presa, alla ricerca delle cose quotidiane. A quell’epoca la cronaca sembrava scritta da soggettisti cinematografici e la denuncia sociale era nei fatti della vita e sui giornali ancora prima che sugli schermi. In questo caso Elio Petri, che era un abituale collaboratore di De Santis, su suo incarico aveva condotto un’indagine su di un fatto di cronaca: 300 ragazze che avevano risposto ad un annuncio per dattilografe, vennero travolte dal crollo della scala dove sostavano in attesa della prova di abilità. Una di loro morì e molte infortunate non poterono permettersi il ricovero in ospedale a causa di una retta troppo esosa. Da qui nasce il film, e tra gli attori famosi come Bosè, Del Poggio, Vallone, Stoppa e Girotti, il registra volle anche tre ragazze superstiti.

In quel periodo l’Italia viveva con esasperazione il problema della disoccupazione e soprattutto le donne soffrivano una forte discriminazione nel trovar lavoro e De Santis senza conformismo né schematismi, unisce la polemica sociale ad una dolente chiave critica sulla condizione femminile. Come ha scritto Ugo Pirro nel suo “Soltanto un nome nei titoli di testa” De Santis non merita solo il rispetto per la sua coerenza stilistica e politica, ma anche riconoscenza per essere stato ispirazione ed esempio per un’intera generazione di cineasti: Petri, Tonino Guerra, Pontecorvo, Giraldi e Lizzani.

Mariateresa Crisigiovanni

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