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Runa Islam nella giuria di “Orizzonti” guarda lontano

02/09/2012
Anche quest’anno in giuria a Venezia due artiste visuali, nonché performers, la prima Marina Abrahmovic, nella Giuria del Concorso e la seconda Runa Islam nella Giuria Orizzonti. Questo sottende quanto il cinema sia sempre più vicino all’arte; e conoscere a grandi linee l’opera delle artiste in giuria può farci capire con maggior profondità le loro scelte definitive.

Runa Islam, inglese di origine bangladeshi, protagonista alla Biennale Arte di Venezia nel 2005 e candidata al Turner Prize di Londra del 2008, è un’artista visuale intimamente legata al cinema, ispirata per sua dichiarazione, dalle Nouvelle Vague di Goddard e da Federico Fellini. Questa influenza è palpabile sia nei suoi films che nella video art che s’interroga sull’essenza del film, decodificando e riassemblando la struttura dello stesso con un linguaggio insolito.

Il suo lavoro non si affida a trucchi di montaggio o ripresa: è come se focalizzasse una sua personale prospettiva del mondo e pure quella dello spettatore, scandagliando le proprietà della pellicola più fondamentali: il suo gioco tra realtà e finzione.

Runa Islam è affascinata dalla possibilità della pellicola di catturare ciò che va oltre lo spazio fisico. Le sue video-installazioni esplorano il contenuto e l’apparato della pellicola, svelandone il processo tecnico per sottolineare l’insita natura illusoria del film e preservarne la magicità.

Nel suo lavoro il set, la ripresa, l’installazione ed il dialogo con lo spettatore creano il culmine dell’illusione. Per Runa Islam non c’è niente di più affascinante della celluloide (chissà se ha mai saputo che Jerry Lewis l’amava tanto da mangiarsela). Per questo cerca nuovi modi per preservarne la struttura. Innesta il DNA della pellicola negli altri medium, graffiti, arti decorative e fotografie. Le sue installazioni seppur cariche di emozioni, sono sottolineate dal sottofondo concettuale, ma soprattutto sono un’immagine dentro la tecnologia della pellicola e le sue innumerevoli possibilità di rappresentazione. La sua opera è talvolta un omaggio ai grandi autori. Per esempio in “Tuin” del 1998 estrapola una sequenza di “Martha” di Rainer Werner Fassbinder, ed i suoi progetti esposti al MOMA di New York nel 2009 sono evocativi dei filmakers strutturali come Michael Snow e Stan Brakhage.

In “This much is uncertain” del 2010, ispirato a romantici paesaggi italiani, Islam unisce primi piani della sabbia vulcanica di Stromboli ad immagini velocissime e sferzanti del vulcano stesso. Il risultato, vertiginoso, sono 24 fotogrammi al secondo che cadono sullo spettatore come una tempesta di cenere: una fusione di insolita comprensione tra tempi cinematografici-artistici e geologici. Ma il suo film più straordinario, girato in 35 mm nel 2011, “Emergence” potrebbe essere definito come un lavoro fotografico. Si tratta di una lastra di vetro impressionata dal fotografo ufficiale della Corte Imperiale di Theran durante la rivoluzione persiana del 1911.

Islam ne fa una stampa e la immerge in una soluzione chimica; poi filma lo sviluppo graduale che rivela l’immagine di una piazza. (Il film proiettato fa sì che lo spazio dell’installazione diventi una grande camera oscura). Come gli elementi dell’immagine si delineano, si vedono dei cani che si cibano delle carcasse di cavalli morti. La violenza è implicita pure nelle larghe crepe della stampa che rivelano il danno subito dalla lastra durante il bombardamento dello studio del fotografo, ed Islam le sottolinea con immagini ravvicinate all’inizio del film. Il film è stato girato tra gennaio ed aprile, in concomitanza con la Primavera Araba, ed impartisce pure un messaggio strutturale: ogni fotografia è una rivoluzione in miniatura.

Mariateresa Crisigiovanni

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