Il Premio AmeliaMestre alla virologa Ilaria Capua
Dopo Pasolini, Zanzotto, Olmi, Magris, Biagi, Paolini e moltissimi altri esponenti del mondo culturale e sociale del nostro Paese, il Premio AmeliaMestre, prestigioso riconoscimento nato nei primi anni sessanta da un gruppo di amici che a cena discettavano di cultura, arte, musica, poesia e letteratura, viene conferito ad una virologa, ad una scienziata a capo del Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, con sede a Padova.
Il suo carnet è ricco di premi e riconoscimenti (ricordiamo, fra tutti, il Penn Vet Leadership Award nel settembre del 2011), ma assurse alle cronache soprattutto per aver creato sconcerto nella stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, che si vide respingere l’invito alla scienziata di entrare a far parte del ristretto club dei 15 laboratori di ricerca mondiale, per depositarne la sequenza virale.
La decisione di Ilaria Capua di estendere la scoperta a un database aperto e condiviso, conferma il suo concetto alto di “bene comune”, che può riguardare anche la conoscenza; su questo importantissimo valore anche l’OMS non ha poi potuto che aderire, approvando altresì una risoluzione, che ne evidenzia la svolta storica e i benefici che tutta l’umanità può trarne.
Scienziata, virologa, caposquadra di una qualificata equipe di ricercatori (sotto la sua guida sono passati da 7 a 75), persona altruista in soccorso di popolazioni lontane e disagiate, con uno sguardo autorevole al sociopolitico (lo dimostra la sua candidatura nel proporsi amministratrice della cosa pubblica), ma anche donna e madre di una bimba di otto anni, che la vede orgogliosamente coinvolta, tra un viaggio e l’altro (a dimostrazione della sua normalità a differenza di qualche collega maschio) nel confezionarle un cappello di pannolenci per Natale.
Ecco quindi che il Premio AmeliaMestre (quest’anno rappresentato da una pregevole statua in bronzo dello scultore Salvatore Messina e consegnata alla Capua con la motivazione letta da una emozionata Antonella Magaraggia, coordinatrice dell’iniziativa) va ad incarnare lo spirito per cui è nato molti anni fa, sotto l’ala preveggente e lungimirante di Dino Boscarato, patron indimenticato dell’Amelia di Mestre.
A lui va il merito di aver mantenuto alto negli anni il senso del valore, anche culturale, della tavola, intesa come cenacolo, fucina di idee, luogo di incontro, di scambio, di convivialità.
Gli stessi valori e lo stesso calore umano, che vengono oggi perpetrati e riproposti dalla moglie e dai figli nel voler rappresentare Mestre come città non sorellastra, non figlia di un Dio minore, ma realtà unica, particolare e complementare in grado di produrre sedimento culturale (anche qui inteso come “bene comune” proiettato nel futuro, proprio come immaginava Dino Boscarato) a beneficio nostro e delle future generazioni.
Cristina De Rossi