Il vero ruolo dei Consorzi agrari
Il primo dato è che i Consorzi agrari, pur con le differenze anche notevoli che si registrano da un caso all’altro, nel complesso stanno tradendo il mandato loro conferito e la fiducia tradizionalmente riposta in loro dagli agricoltori. Organismi di questa natura, infatti, a base cooperativa e strettamente legati alla vita delle aziende agricole, conservano una ragione d’essere solo in presenza di alcuni requisiti essenziali, in assenza dei quali è non solo lecito ma perfino doveroso dubitare della loro utilità.
Ci si riferisce, in primo luogo, a quella che, con termine semplice ma eloquente, si suole chiamare una buona gestione, basata su bilanci in ordine e in grado di restituire un utile ai soci. Questo elemento di base, invece, comincia a mancare sempre più spesso nei Consorzi agrari, molti dei quali, e non fra i più piccoli, si trovano sull’orlo del fallimento, mentre la loro situazione peggiora di giorno in giorno. Né i Consorzi, altro requisito che dovrebbero possedere, sembrano in grado di allargare la base sociale o almeno di conservare la fiducia dei soci già acquisiti, dando vita a progetti condivisi che facciano sentire tutti gli agricoltori ugualmente importanti e coinvolti nella vita di quella che dovrebbe essere la loro casa comune. Ormai da tempo, infatti, si registra il rischio che organismi nati per servire tutta l’agricoltura senza distinzioni di parte diventino dei centri di potere controllati da un’unica sigla sindacale.
Di che utilità possono essere per le aziende agricole, dunque, dei Consorzi agrari gestiti male, in modo poco trasparente, e che non hanno la fiducia di tutti i soci, molti dei quali, e non i meno rilevanti sul piano economico, si sentono esclusi dalle scelte adottate? La risposta è ovvia. Nello stesso tempo, però, è necessario passare dalla fase critica a quella propositiva. Posto che i Consorzi agrari così non vanno e soprattutto non servono, si può fare qualcosa perché recuperino almeno una parte della perduta credibilità ed efficacia operativa? Forse sì, ma certamente non è utile accorparli, i pochi che ancora funzionano insieme agli altri che presentano livelli diversi di dissesto, all’interno di una nuova centrale cooperativa, la cui conduzione risulta fortemente accentrata a livello nazionale e quindi dovrà obbedire a logiche che non possono coincidere con le esigenze economiche dell’agricoltura del territorio.
Inoltre, la costituzione di questa nuova sigla sindacale non potrà che aggravare disorientamento e frammentazione nel mondo agricolo, cioè quei difetti che ne costituiscono il principale fattore di debolezza e che altri si sforzano invece di sanare, per esempio attraverso la nascita del coordinamento Agrinsieme, che raccoglie Confagricoltura, CIA e l’Alleanza delle cooperative agroalimentari. Da una parte, dunque, il tentativo di dare una voce unica ed un punto di riferimento certo al mondo agricolo, per accrescerne la forza ed il potere contrattuale a tutti i livelli; dall’altra l’iniziativa, anacronistica e non rispondente alle attese degli agricoltori, di creare una nuova associazione in campo cooperativo, parte di un progetto più ampio che prevede l’assimilazione a diverso titolo anche dei Consorzi di difesa, delle Associazioni allevatori, dei Consorzi di bonifica.
A questo punto, si potrebbe anche pensare di abbandonare a se stessi i Consorzi agrari perché espressione di un sistema non più adatto alle esigenze degli agricoltori. Eventuali tentativi di recupero si presentano sempre più difficili, a causa della adesione dei Consorzi alla nuova centrale cooperativa, adesione che li pone inevitabilmente in contrasto con il restante mondo cooperativo, al cui interno, invece, avrebbero potuto trovare un sostegno ed una nuova legittimazione sul piano operativo ed economico. Sarebbe interessante sapere che ne pensano in proposito gli agricoltori.
Fonte: Confagricoltura del Veneto