Un piccolo genio cresce nel firmamento del cinema ‘queer’
Nel suo ultimo lungometraggio in concorso a Venezia, “Tom à la ferme”, Dolan si cimenta con una regia che non perde la sua unicità né la sua estrema consapevolezza pur essendo un adattamento da un testo nato per il teatro di Michel Marc Bouchard, ambientato nelle zone più rurali del Quebec, per poter evidenziare la spaccatura culturale tra città e provincia. Si tratta di un thriller psicologico, che rappresenta una rottura in termine di genere e di stile rispetto ai lavori precedenti, anche se la storia in sé parla delle menzogne che s’inventano per salvare la propria ipocrita esistenza. Tom, il protagonista, disperato per la morte del compagno, arriva nella profonda provincia per il funerale ed è immediatamente investito dalle disfunzioni dei rapporti familiari, con la madre che si aspettava la fidanzatina del figlio, ed il fratello maggiore che tenta in tutti i modi di preservare una facciata di normalità. Tom è costretto anche subendo violenze , a sprofondare nell’ambiguità finché dovrà accettare il tormento che ha portato il suo amante a vivere nell’ombra dell’inganno. La condizione umana è segnata dall’odio, dalla paura e dalla violenza. Ma le linee del conflitto non sono chiaramente definite, cosicché qualsiasi parte si scelga, si è confinati in una situazione ambigua e costretti ad agire con doppiezza e tradimenti.
Dolan non smette d’indagare le questioni del corpo e della sessualità non ortodossa in una società che ghettizza omosessualità e transessualità come “malattia mentale”, ed accusa con durezza la società canadese che meschinamente mette alla berlina il diverso. Anche in questo film, che progressivamente sprofonda dalla collera alla brutalità, tra menzogna e verità, dove ogni emozione viene amplificata macroscopicamente, Dolan mette in scena la sofferenza dei gay costretti ad imparare a mentire prima che ad amare.
Mariateresa Crisigiovanni