A Fuller Life
Fuller, classe 1912, proviene dalla guerra e soprattutto dal giornalismo. Questo ex sceneggiatore è un maniaco del cinema visivo, fotografa e filma in 16mm tutti i luoghi che attraversa. Sceglie musica, colore e disegna i suoi personaggi prima delle riprese (come farà 30 anni dopo Martin Scorsese). Sostanzialmente i suoi films si muovono intorno ai temi della guerra e del matrimonio, della reciprocità dell’odio e dell’amore. Il suo è un mondo essenzialmente dualistico: sia la guerra che il matrimonio dipendono da una coppia di partners. Attraverso tutta la sua opera c’è una struttura complessa di duplici lealtà ed obbedienze. Il regista sembra pensare che una soluzione sia possibile soltanto dopo che il ciclo di lotta e di vendetta si sia esaurito: forse i bambini erediteranno il mondo. Da ciò il risalto dato da Fuller all’educazione: i genitori possono educare i figli all’amore anziché all’odio. “Resta dolce come sei, non permettere che il mondo ti cambi”. Pare che questa frase fosse spesso ripetuta da Fuller alla figlia avuta a 62, Samantha, che lo definisce “uno scrittore, un regista, un combattente”. E Samantha per il centenario dalla nascita del padre ha invitato alcuni amici a leggere brani della sua autobiografia “Una terza faccia”. Questa idea si è materializzata in un documentario che celebra lo spirito indipendente e battagliero di un vero American Maverick, ed ha come set lo studio del regista “la baracca”, come la chiamavano tutti, un posto dove lui passava ore alla macchina da scrivere, un vero reporter sempre a caccia di nuove storie. E la sua è una delle più ispirate. Il documentario ci conduce attraverso i momenti salienti della sua vita non convenzionale ed avventurosa, attraverso tutto un secolo di storia americana. Il film comincia quando ad 11 anni Sam faceva il galoppino passacarte nel giornale locale e sognava di diventare il più giovane reporter di cronaca nera. In seguito viaggiò per tutto il paese come freelance, testimone della grande Depressione del ’30. Poi trascorse quattro anni combattendo tra il Nord Africa e la Sicilia ed Omaha Beach. Dopo la guerra divenne uno dei registi più iconoclasti, battendosi tenacemente per la sua visione d’indipendenza del cinema, vicina all’alba della Nuova Hollywood. Nel raccontare la sua storia il cast entra fisicamente nella “baracca” in mezzo alla collezione di libri, sceneggiature, trattamenti, memorabilia di guerra, e naturalmente il grosso sigaro. Ogni intervento è sottolineato con clip tratte dai suoi films, con le sue foto personali ed i filmini di famiglia presi dal suo archivio personale. Tra le clips ci sono anche sequenze inedite di guerra fatte con la sua fedele Bell&Howell. Gli attori parlano col cuore e fanno delle performance fantastiche. James Franco apre la sfilata con i primi periodi del 1920. Bill Duke legge il periodo in cui è free lance durante la Depressione. James Toback, il primo incontro con Hollywood come sceneggiatore. Quelli di Big Red One, Kelly Ward, Perry Lang, Robert Carradine e Mark Hamill, l’esperienza della guerra. Tim Roth, la spiaggia insanguinata il DDay. Wenders, l’incontro di Sam con Marlene Dietrich. Monte Hellman descrive gli orrori dei campi nazisti, e Buck Henry il ritorno ad Hollywood dopo la guerra. La regista racconta di aver mantenuto intatto il suo studio per motivi personali “è un luogo magico” dice “una sorta di deformazione del tempo. Mi sento come se fosse arrivato il momento di condividere questa straordinaria location con un pubblico che festeggerà i suoi cento anni con noi.” Per mantenere il controllo artistico sul film, Samantha ha deciso di raccogliere fondi in modo indipendente, seguendo lo stile del padre e della madre Christa Lang. E questo tributo, come un tardivo dono di compleanno, assume per tutti i veri amanti del cinema un significato particolarmente pregnante sia sentimentale che storico.
Mariateresa Crisigiovanni