Dal locale al globale: i molti approcci per problema rifiuti
E se il cardinale Crescenzio Sepe - tra l’interesse e il clamore degli oltre cento giornalisti internazionali presenti - ha lanciato una proposta shock a livello spirituale (“chi inquina non è in grazia di Dio e non può fare la comunione”), gli altri relatori hanno sottolineato lo stretto legame tra la produzione di rifiuti e un modello di sviluppo insostenibile sia dal punto di vista sociale sia ambientale.
Dati impressionanti quelli presentati, ad esempio, da William Rees, docente della British Columbia University. Le economie urbane producono quantitativi di rifiuti mai visti finora. 11 tonnellate pro capite da ogni cittadino giapponese. Addirittura 25 tonnellate per ogni cittadino degli Stati Uniti d’America. Nel frattempo, il 30% del terreno agricolo è diventato improduttivo a causa del consumo di suolo, che continua a ritmi fino a 40 volte più veloci di quanto la Terra può sopportare. E non va meglio negli oceani: l’82% degli stock di pesce sono sovrasfruttati, depauperando le risorse ittiche mondiali.
“Molte variabili naturali stanno ormai raggiungendo il punto di non ritorno: l’acidificazione degli oceani, l’uso di risorse idriche, il consumo di suolo, lo sfruttamento di biodiversità. Purtroppo tendiamo ancora a ignorare questo problema, perché questo è un film che l’opinione pubblica mondiale non vuole andare a vedere” osserva Robert Costanza, economista ecologico, docente di Public Policy all’Australian National University. “Il cambio di paradigma è indispensabile per non soccombere come avvenuto in passato ad altre società umane. In primo luogo, abbandonando l’idea secondo cui la crescita economica sia potenzialmente infinita”.
Secondo Costanza, è possibile (e auspicabile) costruire una società che finalmente sappia calcolare gli effetti negativi della produzione dei rifiuti sul benessere umano. Per farlo, bisogna aggiornare gli strumenti che misurano lo sviluppo. A partire dal Prodotto interno lordo. “Paradossalmente, il Pil cresce se ci sono più rifiuti, se l’uomo deve intervenire quando una nave sversa petrolio in mare o quando le emissioni di gas nocivi raggiungono livelli intollerabili per la salute pubblica”. I nuovi indicatori devono invece iniziare a includere le esternalità prodotte da ogni attività umana, calcolando i costi sociali di un prodotto. “Sarebbe una spinta eccezionale a produrre meno scarti perché essi sarebbero un danno per i bilanci aziendali e degli Stati”.
Ma gli interventi possibili non sono solo quelli che i governi possono assumere a livello internazionale. Già dalle comunità locali può partire un nuovo modo di pensare il benessere. Ad esempio rispolverando il vecchio concetto di condivisione dei beni. “Ripensare lo stile di consumi è cruciale se vogliamo far ripartire il mondo” spiega Friederich Hinterberger, ricercatore del SERI (Sustainable Europe Research Institute) di Vienna. “Penso al car sharing, assai diffuso nella città in cui vivo. O la condivisione di elettrodomestici da collocare negli spazi comuni degli edifici. Dobbiamo partire dalla nostra impronta ecologica, per capire davvero quanto consumiamo. E, al tempo stesso, dobbiamo capire da dove arrivano le risorse che consumiamo. Solo abbracciando una nuova idea di uso comune delle risorse e dei beni potremmo guardare al futuro con rinnovata fiducia”.
Il programma completo del X Forum internazionale per la Salvaguardia della Natura è disponibile sul sito www.greenaccord.org. Sullo stesso sito, sarà possibile seguire tutte le sessioni del Forum, in diretta streaming.
Next event: X International Media Forum on Protection of Nature (Naples, 6-9 November 2013)
Program: http://www.greenaccord.org/napoli-2013-programma
Info: http://www.greenaccord.org/napoli-2013-info
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