Libera circolazione dei lavoratori
Le nuove norme, proposte dalla Commissione nell'aprile 2013, intendono colmare il divario esistente tra diritti e realtà e aiuteranno i cittadini che lavorano o cercano un lavoro in un altro paese ad esercitare concretamente i loro diritti. Gli Stati membri dispongono ora di due anni per attuare la direttiva a livello nazionale.
László Andor, Commissario per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione, ha dichiarato: "Mi congratulo vivamente per l'approvazione della direttiva in data odierna, a meno di un anno da quando la Commissione ha presentato la proposta. È una buona notizia per tutti coloro che desiderano lavorare o stanno già lavorando in un altro Stato membro. Indipendentemente dal fatto che le persone desiderino o no lavorare in un altro paese dell’UE - che è una questione di scelta personale - queste nuove norme faranno comunque sì che tutti i cittadini conoscano meglio i diritti dei lavoratori mobili. In questo modo possiamo contribuire ad agevolare la mobilità all’interno del mercato del lavoro dell’UE."
La direttiva, proposta il 26 aprile 2013 (IP/13/372), ha per obiettivo di eliminare gli ostacoli esistenti alla libera circolazione dei lavoratori, tra cui la scarsa consapevolezza delle norme UE da parte dei datori di lavoro sia pubblici che privati e le difficoltà incontrate dai cittadini mobili nell'ottenere informazioni e assistenza negli Stati membri ospitanti. Per superare questi ostacoli e prevenire ogni forma di discriminazione la direttiva imporrà agli Stati membri di garantire:
che uno o più organismi a livello nazionale forniscano un sostegno e assistenza giuridica ai lavoratori migranti dell’UE per quanto riguarda l’applicazione dei loro diritti,
una tutela giuridica efficace dei diritti (tra cui, ad esempio, la protezione dalla vittimizzazione per i lavoratori migranti dell’UE che vogliono far valere i loro diritti) e
informazioni facilmente accessibili in più di una lingua dell’UE sui diritti di cui godono i lavoratori migranti dell’UE e le persone in cerca di lavoro.
Tali norme andranno a vantaggio non solo dei lavoratori mobili ma anche dei datori di lavoro, che saranno meglio informati quando assumeranno persone provenienti da un altro paese dell’UE.
Indipendentemente da questo nuovo atto legislativo, la Commissione, in qualità di custode del trattato, continuerà ad avviare procedimenti di infrazione, ove necessario, nei confronti degli Stati membri il cui diritto nazionale non sia in linea con gli obblighi imposti loro dal diritto dell'UE.
Contesto
Il diritto dei cittadini UE di lavorare in un altro Stato membro, sancito dall'articolo 45 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), comprende il diritto a non essere oggetto di discriminazione fondata sulla nazionalità, per quanto riguarda l'accesso all'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Il regolamento (UE) n. 492/2011 elenca dettagliatamente i diritti che derivano dalla libera circolazione dei lavoratori e definisce aree specifiche in cui la discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata, in particolare per quanto riguarda:
l'accesso all'occupazione
le condizioni di lavoro
i vantaggi sociali e fiscali
l'accesso alla formazione
l'iscrizione alle organizzazioni sindacali
l'alloggio
l'accesso all'istruzione per i figli dei lavoratori.
Attualmente il 3,3% della forza lavoro dell'UE, ossia 8 milioni di persone, vive e lavora in un altro Stato membro. Vanno poi aggiunti 1,2 milioni di persone che vivono in un paese dell'UE, ma lavorano in un altro. Tuttavia le persone che lavorano o che desiderano lavorare in un altro paese spesso non dispongono di informazioni sui loro diritti nello Stato membro ospitante e possono incontrare difficoltà nell'accedere a un posto di lavoro o nell'ottenere le stesse condizioni di lavoro o gli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali. Inoltre i datori di lavoro (sia pubblici che privati) e le amministrazioni pubbliche spesso hanno una scarsa conoscenza dei diritti dei lavoratori mobili. L’assistenza fornita a livello nazionale ai lavoratori mobili dell'UE per aiutarli a far valere i loro diritti varia notevolmente da un paese all'altro.
Tra le comuni pratiche discriminatorie figurano:
diverse condizioni di assunzione
requisiti di nazionalità per accedere ad alcuni posti di lavoro
condizioni di lavoro diverse nella pratica (come le retribuzioni, le prospettive di carriera e di livello)
problemi di accesso ai benefici sociali subordinati a requisiti più facilmente soddisfatti dai cittadini nazionali rispetto agli altri cittadini dell'UE (ad esempio il requisito di residenza)
le qualifiche ed esperienze professionali acquisite in altri Stati membri non sono tenute in considerazione o se ne tiene conto in modo differente.
La libera circolazione dei lavoratori non è soltanto un elemento fondamentale del mercato unico dell’Unione, ma è anche una risorsa per tutti i paesi dell’UE. La mobilità può contribuire a combattere i livelli elevati di disoccupazione presenti in alcuni Stati membri e a colmare le carenze di competenze e di manodopera esistenti in altri. Per questo motivo la Commissione si sta inoltre adoperando per migliorare ulteriormente l’efficacia di EURES, la rete paneuropea per la ricerca di lavoro, affinché un maggior numero di candidati in tutta l'UE possa avere accesso a più offerte di lavoro (IP/14/26 e MEMO/14/23).
Vari studi hanno sistematicamente mostrato che una forza lavoro mobile apporta benefici ai paesi ospitanti. I lavoratori mobili integrano la forza lavoro nazionale colmando le carenze di manodopera, hanno maggiori probabilità di trovare un lavoro ed essendo generalmente in età lavorativa - quindi in media più giovani rispetto alla popolazione del paese ospitante - hanno meno probabilità di ricevere prestazioni, per cui sono di norma contribuenti netti alle finanze pubbliche. Grazie alle rimesse inviate in patria, i lavoratori mobili forniscono anche un notevole sostegno alla domanda interna, agli investimenti e all’imprenditorialità nei loro paesi di origine.
Fonte: Commissione europea
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