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In nome delle vittime di Refrontolo

03/08/2014
Ora è il momento del dolore, del silenzio...e delle polemiche (inutili, come sempre; se ci sono responsabilità, chi di dovere le accerterà. Tutto il resto è "fuffa").

Alla tragedia di Refrontolo, come alle troppe sciagure idrogeologiche (più meno gravi), che si susseguono in Italia, si risponde in un solo modo: con il “fare” in uno sforzo di umana responsabilità collettiva, che tolga ogni ipocrisia ed alibi burocratico per realizzare ciò, che serve a preservare il territorio e le sue vite (l’Unità di Missione contro il dissesto idrogeologico, voluta dal Governo, ha individuato, nelle more dei bilanci pubblici, quasi 4 miliardi di euro non spesi per interventi di prevenzione!).

Frequentando gli ambienti della politica ho imparato che stanziare risorse non vuol dire automaticamente metterle a disposizione: è solo un’affermazione di intenti e, come si sa e si sta dimostrando, di buone intenzioni sono lastricate le fosse.

Quante volte abbiamo sentito dire che gli interventi per la salvaguardia idrogeologica devono essere esclusi dal patto di stabilità in modo da poter destinare a ciò risorse già a disposizione? Nulla però si avverte muovere o, se ciò avviene, non palesa certo la determinazione, con cui si perseguono le riforme istituzionali, fondamentali certo ma, mi si permetta, meno incidenti sulla nostra vita quotidiana di chi esce al mattino per non tornare mai più, perché travolto da un’improvvisa alluvione.

Smettiamola, poi, la litania del clima, che sta cambiando: è ormai cambiato! Il mondo ed i suoi equilibri ambientali siamo riusciti a stravolgerli nella partita dell’egoismo tra “chi ha e non vuole cedere” e “chi non ha ed ambisce a dispetto di tutto”. Sono decenni, ormai, che gli scienziati predicono quanto sta accadendo, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

Il mondo l’abbiamo rovinato nei macrosistemi, come lo stiamo facendo nei nostri dintorni: la cementificazione non conosce sosta ( forse rallenta per contingenza economica, non certo per scelta culturale), ma le stesse pratiche agronomiche dei nostri vecchi le abbiamo dimenticate in nome del profitto (quanti campi, in barba a normative raramente fatte rispettare, sono coltivati fino a ridosso delle sponde dei corsi d’acqua, ostacolandone la manutenzione?).

Per tutto questo, quando sento o leggo molte dichiarazioni di queste ore, mi domando: ma di cosa stiamo parlando?

E’ paradossale, ma i morti di Refrontolo dovremmo ascriverli nell’immaginaria lapide “vittime del progresso”, quel progresso, che ci fa dimenticare che la natura è più forte di noi e che, di fronte a decine di millimetri di pioggia in pochi minuti, poco possiamo fare, se non limitare i danni, sperando nella clemenza del destino e dimenticando secoli, che ci hanno fatto credere di essere migliori: la storia è a dirci che, in fondo, non è vero.

Fabrizio Stelluto

Presidente A.R.G.A.V.

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