Macbeth di Roman Polansky : più di quarant’anni dopo
Tuttavia il valore della versione di Polansky sta proprio nell’umiltà della sua rilettura filmica che coglie il senso piu’ profondo dell’opera. ‘Se prendete un libro che amate e ritenete geniale, credo sia necessario avere la modestia di sottomettersi al libro.’
Attraverso il filtro del critico polacco Jon Kott, Polansky scopre in Shakespeare i suoi temi prediletti: l’assassinio, l’aspirazione al potere, la lotta per la sopravvivenza, la battaglia disperata per dominare gli altri e non esserne annientati. Le immagini di ‘Macbeth’ seguono diligentemente le sottolineature compiute sul testo dal critico’ La storia è ridotta alla sua forma più elementare, ad un’unica primordiale distinzione: quelli che uccidono e quelli che vengono uccisi.’
Il tema dell’assassinio appare fissato fin dalla prima inquadratura: mentre la macchina riprende una spiaggia deserta, un bastone entra in campo a disegnare un cerchio nella sabbia dove sarà seppellito un corpo. Lady Macbeth, nel cui disegno psicologico si riaffaccia il misoginismo, percorre la scala in salita mentre coltiva sogni di grandezza, il protagonista la discende quando giunge alla consapevolezza che la vita ‘è una storia narrata da un idiota , piena di frastuono e di furore, che non significa nulla .’
Quando cade nel vuoto la testa del re, uno dei tanti poveri commedianti che si pavoneggiano e si agitano sulla scena, ritorna l’immagine della corona come simbolo tangibile del potere ricorrente nel film, elemento innovativo del regista che non figura nelle indicazioni scenografiche di Shakespeare.
In ogni immagine Polansky vuole sottolineare come la Storia ripeta continuamente se stessa incurante della vita e della fine tragica dei protagonisti. Gli uomini soccombono consapevoli dell’inutilità del loro sacrificio. Il duello finale tra Macduff e Macbeth è rappresentato nel film come uno scontro bestiale , lontano dalle regole della cavalleria, tanto da sembrare una rissa volgare, tragica e comica al tempo stesso.
L’intuizione del grottesco e la sua esasperazione è uno dei meriti del film, dove riaffiorano i motivi preferiti del regista anche se appannati dalla malinconia estenuata, senza certi geniali registri delle sue opere migliori. Come non pensare a ‘Rosemary’s Baby’ quando nel sabba delle streghe nude , Macbeth scopre che la stirpe di Banquo sopravviverà e manterrà a lungo il potere? Gli inferi diventano un vortice di specchi: Macbeth spezza gli specchi ma non il sortilegio in cui resta prigioniero. E’ qui che il tema angoscioso della specularità del reale, tema ricorrente in Polansky, assume le cadenze dell’incubo e riscopre un grande vigore espressionistico con una viva struttura narrativa.
Se c’è debolezza di regia in questo film, è forse nella scarsa indagine psicologica che trova comunque la giusta cadenza drammatica quando i personaggi entrano in rapporto diretto con l’ambiente naturale. Seduta nel cortile del suo castello, tra cani, porci, e anatre, un’ indimenticabile Lady Macbeth sogna di diventare regina, il massacro della famiglia di Macduff e l’attentato mortale a Banquo si contrappongono alla serenità dell’ambiente familiare ed alla quiete irreale dei boschi scozzesi.
Certa critica negativa trovò che il tema dell’ambiguità tra realtà allucinante e fantasia allucinata venisse totalmente vanificato dal troppo sangue, motivo ossessivo che sommerge tutti ed invade la scena cosi’ da spezzare la tensione drammatica del film. Appare indubbio che la furia omicida, sospesa tra follia e dissacrazione nella strage di Bel Air, che provocò la disperazione dell’uomo ed il silenzio del regista, aldilà delle assurde coincidenze che sembrano trasformare il cinema in realtà, abbia influenzato quello che fu proprio il ritorno alla regia di Polansky.
Questo coincide col rifiuto al rigore ed alla disciplina formale dei suoi lavori precedenti, dando la massima espressione al suo alter ego espressionista, sentimentale e barocco. La regia di questo film, considerata a suo tempo da molti discontinua e mediocre è in realtà profondamente permeata di un’umanità dolente che confessa la disperazione dell’esistenza.
Mariateresa Crisigiovanni