Mai contro cuore: intervista a Massimo Bisotti
Il romanzo, edito da Mondadori, racconta la storia di Patrick, un insegnante e un pittore con l'ossessione per la perfezione. In una mattina di Giugno entra per l'ultima lezione nella sua aula dell'Accademia di Belle Arti, prima di trasferirsi definitivamente a Venezia. Quando sta per lasciare Roma per ripartire da zero, decide di andare in soffitta per dare un ultimo sguardo al quadro che ritrae la donna che ha molto amato, la donna il cui ricordo porta sempre con sé. Ma, quando scopre la tela, la vede vuota: la donna sembra avere abbandonato il quadro. Un libro sul perdersi e il ritrovarsi, sulla memoria e l'accettazione di se stessi, sull'importanza di restare fedeli al precetto più vero e necessario: "mai controcuore". Bisotti, reduce dal clamoroso successo del precedente romanzo “La Luna Blu”, continua a emozionare i lettori con la sua prosa magica fatta di frasi profonde, ma di immediata comprensione, sulla complessità dell’animo umano.
Un successo testimoniato dalle numerose copie vendute e dai suoi aforismi, che popolano quotidianamente il web e il mondo social. Le ragioni? Uno stile semplice che arriva dritto al cuore dei lettori e storie che riprendono fatti capitati a tutti coloro che hanno toccato l’Amore. L’effetto è che qualsiasi persona, dopo aver letto il romanzo, si convince che quel libro avrebbe potuto scriverlo, perché ha vissuto le medesime emozioni, sapientemente descritte dalla penna di Bisotti.
Le parole giuste, insomma, che noi tutti vorremmo dire.
Ci racconti il tuo approccio alla scrittura? Quando e perché hai iniziato a scrivere?
«In realtà io ho iniziato a scrivere per poter rimarginare in cicatrici le ferite che mi sono portato dentro dall’infanzia. La scrittura è un collante che lega tutta la mia vita. Alle persone mi sento di dire, che al di là di fare diventare la scrittura la propria professione, tenere un diario può diventare utile nel tempo. Permette di mettere in luce le nostre verità più scomode, quelle che a volte non abbiamo la capacità di confessare nemmeno a noi stessi. Rileggere quello che noi abbiamo scritto in un momento particolare della nostra vita, a distanza di tempo, ci può anche dare la percezione di affrontare tutto quello che pensavamo di non poter risolvere e ci regala una fotografia della nostra vita.»
La fenomenologia Bisotti colpisce tutti, uomini, donne, ragazzi e ragazze, senza limiti di genere o di età. Scrivi d’istinto o segui un metodo per colpire il lettore?
«Io scrivo d’istinto, ma ci sono dei flussi di coscienza nei miei libri che fanno parte di storie personali realmente vissute anche se poi magari vengono interpretate da personaggi che non esistono realmente. Lo stesso romanzo “Il quadro mai dipinto” ha dei personaggi inventati, che però sono contaminati degli incontri che ho fatto nella mia vita e dalle storie che le persone mi raccontano. Sono del parere che quello che noi siamo alla fine viene sempre fuori: l’uomo sulle lunghe percorrenze si rivela sempre per quello che è. Una cosa poi che premia l’essere umano, al di là del lavoro che fa, è come diceva Stefano Benni “poter assomigliare a quello che si dice” e che le parole corrispondano, in qualche modo, ai fatti.»
Nei tuoi romanzi narri l’amore con parole e immagini che regali ai tuoi lettori. Quanto amore hai ricevuto dal pubblico in questi anni di popolarità?
«Tanto e al pubblico devo tutto. Ho iniziato da zero e spesso dico alle persone che mi criticano, che indipendentemente dal giudizio sulla mia persona o sul mio lavoro, bisogna guardare il lato positivo ossia che esiste ancora la possibilità di poter realizzare un sogno senza scorciatoie, compromessi o favori. Si dovrebbe, invece di orientarci in sentimenti di negatività, pensare positivo e dire, al di la che mi piaccia o non mi piaccia, “lui ce l’ha fatta da solo”. Ma forse ammetterlo, per una fetta di mondo, significa che se poi una persona non ce la fa, il fallimento è solo suo. Non possiamo attribuire i nostri fallimenti agli altri, perché non è giusto e non hanno responsabilità. La vera libertà è avere la possibilità di scegliere realmente che cosa vogliamo nella nostra vita e che cosa non ci piace. Se non ci piace, però, non significa che non meriti di vivere fuori da quella che è la nostra mattonella personale.»
Sottolinei molto spesso l’importanza di non agire mai “contro cuore”, ma sempre “contro corrente”...
«Mai contro cuore nasce perché avevo scritto una frase nel mio precedente libro “andiamo controvento, andiamo controtempo, ci mettiamo contropiede, ma contro cuore non possiamo andare”. Per me una persona che va contro cuore non è felice, perché rinuncia alle sue inclinazioni e alle sue passioni. E’ vero che non tutti i sogni si possono realizzare, alcuni li mettiamo da parte, alcuni li perdiamo per strada. C’è una parte inalienabile a cui non possiamo sottrarci, ma gran parte della nostra esistenza dipende da noi, dal nostro coraggio e dalla nostra caparbietà. L’uomo si preclude molto spesso, per paura dei giudizi altrui, i suoi bisogni. Nel precedente libro avevo scritto che “i bisogni sono sogni al quadrato”, e se noi rinunciamo a questi, sicuramente stiamo andando contro cuore; io incoraggio sempre le persone a provare a vivere i propri sogni e progetti. Perché nel momento in cui io trovo il mio posto sarò sempre felice. Sarà quando non troverò posto che tenterò di mettere sotto assedio quello degli altri , cercando di dominare la vita altrui. Tante volte dico che dovremmo augurarci, anche per un sano egoismo, più felicità per gli altri, perché più le persone sono serene, meno hanno desiderio di nuocere alle vite altrui.
Il libro si snoda tra le meraviglie della magica Venezia. Che ruolo ha questa città all’interno della narrazione?
«Io sono di Roma e amo la mia città, che però in qualche modo ti tiene prigioniero, perché le distanze sono tante. Ci puoi mettere anche tre ore per spostarti di quartiere se trovi la giornata no. Venezia è una città diametralmente opposta e, nonostante ci siano luoghi affollati tutto l’anno come il Ponte di Rialto, basta voltare calle per trovare angoli di serenità. Venezia mi ha dato la sensazione di essere come una persona che potesse ascoltare ciò che dici e carpire i tuoi segreti. Il protagonista, Patrick, dovrà affrontare un cambiamento radicale e passare dalla vita romana a quella veneziana. Ma si sa ogni scelta porta una perdita, ma l’importante è cercare di capire cosa non siamo disposti a perdere.»
Qual è il tuo quadro mai dipinto?
«Io, anche in amore, ho sempre concluso le relazioni dopo che ho fatto di tutto per tentare di salvarle, quindi quadri mai dipinti non penso di averne: possiamo avere dei sogni mai realizzati, ma non dei quadri mai dipinti. Io faccio sempre il possibile per ottenere qualcosa. Poi però c’è una grande differenza fra il prendersi cura di qualcuno e il possedere. Ci sono dei momenti in cui bisogna lasciare andare le cose; amare è anche questo e penso che ci si possa lasciare con altrettanto amore, senza rancori o situazioni che nel corso del tempo alimentino malessere.»
Su Facebook hai quasi 60.000 seguaci e Instagram segue a ruota. Che potere hanno avuto i social per la tua popolarità?
«Sicuramente quest’ultimo anno è stato di grande cambiamento. Una cosa che dirò sempre è che sono grato all’amore delle persone che mi hanno sostenuto. Credo fermamente che nel momento in cui la scrittura diventa un ponte fra le anime, indipendentemente dall’autore, diventa veramente una salvezza. E’ come se le persone si rispecchiassero, al di là della penna che scrive. Come diceva Jodorowsky, “Non mi piace l'arte che seve solo a celebrare il suo autore, mi piace l'arte utile per guarire”.
Ho tentato di tenere i miei social i più tranquilli possibili, nonostante sia difficile perché spesso diventano sfogo dell’insoddisfazione altrui. Nel momento in cui ti metti in gioco le critiche ci sono e ci saranno sempre, se sei spaventato da questo nella vita non farai mai niente, però il diritto di critica non è il diritto d’offesa. I social network sono una casa, nel momento in cui tu vieni a casa mia e non ti piace quello che ti faccio da mangiare tu hai diritto di non tornare più, ma non hai il diritto di continuare a tornare per rovinarla. Ci vorrebbe rispetto e penso che la libertà sia anche questo. Mi piacerebbe e forse è un’utopia, cercare di far capire alle persone, attraverso il loro comportamento, cosa significhi essere liberi, ossia fare la propria vita senza nuocere alla vita degli altri e come avevo scritto nel precedente libro: “Fai rumore nei sogni di qualcuno solo per svegliarlo con il cuore felice, altrimenti lascialo stare”.»
Micol Stelluto
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