Chi ha paura di Charlie Hebdo?
L'articolo 21 della Costituzione Italiana ci ricorda, semmai qualcuno lo avesse dimenticato, che siamo già usciti dai periodi bui della nostra storia, secoli in cui gli "eretici" venivano mandati al rogo.
In Italia, in Europa e in moltissimi Stati del mondo, ci siamo "abituati" alla libertà di pensiero e di espressione.
I nostri bambini e le nostre bambine hanno l'obbligo, per legge, di frequentare la scuola e imparare le basilari regole di convivenza civile, di democrazia, di tolleranza.
Ai nostri figli, viene fatta comprendere una delle libertà più belle: la possibilità di esprimersi con la voce, la scrittura, il pensiero, le arti, ed è questa la prorompente forza che ha cambiato il mondo.
Nei secoli, umanità intere hanno pagato con la vita l'innato bisogno di esprimere la propria essenza, il proprio essere, il proprio sentire, il proprio rivendicare diritti fondamentali.
Certo, esistono mille contraddizioni, storture, degenerazioni, ma il principio della libertà all'interno di una società regolamentata da norme è e deve rimanere sovrano.
Ma questo, ai fondamentalisti islamici, incute paura. E la paura uccide. O fa uccidere.
Charlie Hebdo, la redazione satirica francese in cui è avvenuto l'assurdo massacro, non ha avuto e non ha paura.
E ora, il suo coraggio deve diventare il nostro coraggio.
La sua forza deve trasformare le nostre debolezze, infondendoci un vigore nuovo, una consapevolezza straordinaria nel comprendere che non possiamo o dobbiamo intimorirci di fronte a una violenza inaudita, anacronistica, assurda.
Una violenza che sembra non dare tregua, non finire mai, che segna quotidianamente il mondo con le epigrafi della morte.
Ma per ogni lutto innocente, c'è il risveglio di una coscienza sopita, c'è lo sdegno che ci scuote da un torpore di diritti acquisiti, c'è l'assolta certezza che il pensiero non si può uccidere, cancellare, mitragliare, bombardare.
La libertà di pensiero e di espressione è una fonte di acqua pura e perenne, è un soffio che scompiglia i capelli.
Ed è anche, in onore di tutti i morti innocenti, un secondo nome da aggiungere, a partire da questa testata giornalistica, alla nostra carta di identità: Charlie, Je suis Charlie.
Cristina De Rossi
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