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Il tributo alla natura

13/07/2015
Il tributo alla naturaUn pitone gigantesco con le spire spaventosamente gonfie di vento, che tutto stritolano e poi risputano.

Il tornado, che ha colpito nel pomeriggio dell'otto luglio parte del territorio veneto nella Riviera del Brenta, ha distrutto al suo passaggio tutto quello che poteva rappresentare una entità, grande o piccola che fosse, lasciando il vuoto negli occhi, il terrore nel cuore.

Con una forza indescrivibile, si è portato via il lavoro, le speranze, il sudore, la vita.

Il tributo umano alla forza spaventosa della natura è stato pagato da un automobilista, fermatosi a causa di un traliccio scagliato dal vento in mezzo alla strada.

La sua auto è stata risucchiata, sollevata, masticata e rigettata, come un boccone che non piace più.

E lui con essa.

Tetti, alberi, case, piante, auto, camion, marciapiedi, strade, fabbriche, ville antiche, in un groviglio di pezzi che squarciano il cielo, rimbalzano, roteano, colpiscono, cadono.

Proiettili giganteschi sparati da un cannone caricato di vento grigio, nero, un cono talmente enorme che sembra non avere confini tra la terra e il cielo.

E’ rabbioso, veloce, violento.

La natura a volte non ha pietà e il tornado sembra assomigliare a una dea vendicatrice che si placa, come nell’antichità, dopo l’agnello sacrificale offerto dagli uomini per ammansire l’ira degli dei.

L’impotenza negli occhi di chi con terrore lo vede avanzare, ci rimanda l’immagine della nostra precarietà e vulnerabilità di fronte a giganti impazziti come quello che, in pochi minuti, ha spazzato via questo bellissimo tratto del territorio veneto.

L’acqua, il fuoco, la terra, l’aria, in questi momenti sembrano farci riflettere sulla loro potenza, troppo spesso sottovalutata e derisa, con interventi a volte dissennati da parte della mano dell’uomo, o citati a volte solo come elementi dell’oroscopo.

Sembrano volerci ricordare la loro essenza, la loro potenza vivificatrice, la loro indispensabilità.

Ma anche la loro capacità di distruzione, quali elementi impossibili da arginare, confinare, perimetrare, convogliare, sfruttare, divorare.

I terremoti, le alluvioni, gli incendi, i tornadi appartengono alla moneta di Madre Natura, effige che mostra imprevedibilmente le sue due facce.

In Riviera del Brenta, è caduta dalla parte della croce.

In qualsiasi altra parte si manifestasse, il tornado avrebbe trovato lo stesso terrore e sgomento, le stesse grida di terrore, le stesse imprecazioni, la stessa disperazione, lo stesso sollievo per il pericolo scampato, la stessa gioia nel vedere i familiari salvi per miracolo.

E in una terra come il Veneto, dove l’imprecazione e la bestemmia assumono storicamente il significato inconscio di preghiere, litanie, quasi come maggior vicinanza a Dio, c’è ancora la capacità di trasformare il lutto in compassione, la disperazione in condivisione, la solitudine in solidarietà.

E ci si mette subito al lavoro.

Tutti e tutte, uomini e donne, con le stesse mani alacri, siano esse quelle curate di chi lavora in giacca e cravatta o quelle nodose e callose di chi cura la terra. Tutti.

La povertà e la sofferenza sono state, per i Veneti, grandi maestre.

E la stragrande maggioranza dei suoi abitanti, non ha mai segnato assenze ingiustificate nel libretto della grande scuola della vita.

Cristina De Rossi

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