ANdI: intervista ad Andrea Fabi
Vicepresidente Fabi, anzitutto ci presenta l’ANdI: perché è nata e quante persone raccoglie?
L'Associazione Nazionale degli Inventori fu costituita a Roma nel 1947, a guerra finita, intorno alle personalità carismatiche di Mario Tanferna ed Enrico Fermi del gruppo di Via Panisperna; ne fecero parte i più bei cervelli italiani, scampati alle vicissitudini del conflitto mondiale. Da allora, l’impegno è di cooperare nel campo delle innovazioni, con l'intento di partecipare allo sforzo comune per sostenere il deposito dei brevetti nell’ottica del rilancio della ricerca tecnologica. Attualmente ci sono circa 5.000 tra associati e aderenti.
Quali attività svolge e che obiettivi a medio e lungo termine si prefigge?
L’ambito di lavoro principale riguarda la tutela dei piccoli e medi inventori italiani, delle piccole e medie aziende innovative e dei ricercatori scientifici in generale. L’attività associativa si realizza con il collegamento continuo per consulenze scientifiche, tecnologiche, ecologiche, legali, commercialistiche, brevettuali. Inoltre c’è il portale digitale per la cessione del brevetto, con la garanzia, da parte dell’ANdI, della licenza di sfruttamento di brevetti di piccoli e medi inventori, i quali hanno un controllo diretto sulla vendita, mentre l’acquirente riceve una garanzia sull’acquisto grazie all’associazione e alla sua rete di accordi con i Paesi più importanti e produttivi. Quest’ultima iniziativa apre anche a relazioni con società private ed enti pubblici interessati al settore brevettuale. Sul piano più specificamente culturale vi è la diffusione del periodico specializzato sui brevetti "Ingegni & Congegni".
In autunno si svolgerà a Venezia, in un luogo simbolico, l’International Inventors Exhibition, cui avete deciso di dare il patrocinio: da dove nasce la collaborazione, quali sono i propositi comuni e in cosa si sostanzierà questa sinergia?
Sosteniamo appieno l’IIE, perché rappresenta un progetto simile al nostro “Inventeco”, che è specificamente rivolto agli inventori e alle invenzioni dei Paesi del bacino del Mediterraneo e si è già svolto con successo a Catania, luogo crocevia naturale di culture. Abbiamo accolto volentieri la possibilità di affiancarci all’evento promosso dalla società D-nest, in quanto è un’iniziativa interessante che può favorire gli scambi internazionali di proprietà intellettuale e il trasferimento tecnologico in perfetta sinergia con il rilancio del settore.
Qual è, a Suo parere, lo stato di salute delle invenzioni in Italia? I numeri dicono che c’è stato un incremento dei brevetti del 9%: lo ritiene un dato soddisfacente o si potrebbe fare di più?
Al di là dei numeri, in Italia ancora si conosce ben poco l’importanza strategica del settore brevettuale e dei grandi benefici che potrebbe portare all’economia, con i conseguenti risvolti sull’occupazione giovanile e sui processi strategici che porterebbero a un rinnovamento nella tecnologia. Sicuramente si può fare di più e meglio, poiché una cultura e un approccio al settore diversi e molto più proficui produrrebbero solamente ulteriori vantaggi.
Tante persone, forse più di quelle che immaginiamo, ogni giorno lavorano nel proprio piccolo, studiando nuove soluzioni originali in diversi ambiti della vita: cosa bisognerebbe fare perché l’invenzione si trasformi in concreta innovazione, che è strumento di progresso?
Il progresso è necessario sempre, perché permette alla società di crescere, ci si augura nella prospettiva di consentire il miglioramento della qualità della vita. Il brevetto è lo strumento necessario e perché diventi un beneficio concreto è necessario farlo conoscere, diffonderlo il più possibile e produrlo. Il tassello necessario per ciascun singolo inventore è proprio il sostegno e la promozione della conoscenza della nuova tecnologia.
Conviene, oggi come oggi, essere un inventore o è una perdita di tempo e risorse, perché al di là della soddisfazione individuale mancano poi dei risultati tangibili?
Proprio per una mentalità tipicamente italiana si pensa all’inventore come a un perditempo e all’invenzione come il frutto di un banale hobby da garage. L’invenzione, se sfruttata bene e divulgata commercialmente con le giuste accortezze, può invece diventare un’ottima opportunità per le aziende e un’ottima fonte di reddito personale.
Inventare è una forma di creatività e quindi di arte: che ruolo ha, nella sua esperienza, per sostenere l’espressività della persona?
Oltre a essere un’arte, rappresenta soprattutto la soluzione a un problema, al quale l’individuo non sa bene che risposta dare, spesso limitandosi ad accettare la situazione che viene a determinarsi. L’inventore, che giustamente viene considerato un artista, al contrario non soccombe, riuscendo con il suo estro a trovare la via d’uscita migliore. Per questi motivi non sempre inventare è un qualcosa destinato solamente a ricercatori.
Dal Suo punto di vista, il genio personale è un tema sufficientemente considerato o viene veicolato come una sorta di vezzo, che non riceve l’attenzione che meriterebbe?
La creatività italiana è qualcosa che nel mondo ancora ci invidiano grazie a persone che si applicano con le giuste conoscenze e competenze; tuttora noi stessi, nel quotidiano, utilizziamo le tecniche, che gli stessi ci hanno proposto. È bene sottolineare però, che se non viene sfruttato e sviluppato nel corretto modo, questo vantaggio può solo creare divari tra Paesi sviluppati e non.
Il nostro Paese spesso fa parlare di sé per la famosa “fuga dei cervelli”. Come giudica l’attuale stato dell’arte del finanziamento della ricerca finalizzata all’invenzione e che futuro prevede per questo ambito?
La “fuga dei cervelli”, proprio in connessione con ciò che l’Italia ha sempre rappresentato, da un lato non può che darci lustro; dall’altro se non trova il necessario correttivo grazie ai finanziamenti che servono, come sta capitando nell’attuale contesto, purtroppo finirà con il creare ottimi ricercatori ed artisti, che poi continueranno il loro lavoro altrove. E la conseguenza non potrà che essere ciò che si dovrebbe evitare, che il percorso di studi conseguito in Italia, su cui tanto si è investito, continuerà a portare benefici solo all’estero.