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Venezia 73 - L'oro e l'argento: la realtà ed il cinema indissolubilmente legati

06/09/2016
Venezia 73 - L'oro e l'argento: la realtà ed il cinema indissolubilmente legatiPer la Sezione Orizzonti il documentario di Bill Morrison ‘Dawson City : Frosen Time’, farà sognare i cinefili più scatenati ma pure lo spettatore medio che avrà la curiosità d’infilarsi , con i 120’ di puro cinema sperimentale , nella intransigente creatività di uno dei piu’ fertili autori di films ipnotici . Bill Morrison ,americano di Chicago, anno 1965 , i cui lavori stanno al MOMA ed al Guggenheim di N. Y. , ha trascorso gli ultimi vent’anni assemblando artisticamente filmati d’archivio a vari livelli di deterioramento , in cui la decomposizione fisica della pellicola al nitrato d’argento diventa il catalizzatore per le sue narrazioni esistenziali , creando un’ opera che indaga la tensione degli archivi della memoria . Il suo corto del 1996 ‘The Film of Her ‘ ad esempio , affronta la diretta metafora della fragilità della pellicola cinematografica , usando l’intrinseca predisposizione della stessa per la decomposizione chimica , per esprimere l’effimera natura dell’amore.

‘Dawson City ‘ rappresenta un documento storico ed insieme una sorta di poema alto , mettendo a confronto molte contraddizioni specifiche del XX secolo. E’ una storia sulle amare ironie della sorte , dove le promesse spesso non vengono realizzate . Bisogna risalire alla corsa all’oro nel Klondike del 1896 che fece diventare un accampamento di indiani una città di 40.000 persone arrivate li’ col sogno di arricchirsi, già molto in ritardo rispetto alla potenzialità delle miniere , per poi abbandonarla diretti verso l ‘Alaska . I cercatori la lasciavano svuotata ed in contemporanea arrivava ‘ il Cinema ’. Oro ed Argento , come sottolinea il regista , per sempre uniti e conseguenti l’uno all’altro conducono il racconto dentro il tema grandioso dell’umana civiltà. Non solo i films trovarono la loro strada per Dawson , ma i boschi del Nord e le loro avventure selvagge diventarono per il cinema del momento uno dei generi prediletti. Le pellicole che arrivavano a Dawson bizzarramente invece di venir restituite ai rispettivi distributori vennero stipate in una biblioteca prima, ed in seguito , nel 1929 , scelleratamente accatastati nella profondità di una piscina subartica per creare il substrato di un eventuale campo da hockey. 500 films , datati dal 1910 al 1920 , sepolti per cinquant’anni sotto strati di terra e ricoperti di ghiaccio. La doppia ironia volle che altri films continuassero ad arrivare in città e che nel 1951 un’autocombustione del nitrato d’argento distruggesse l’intero complesso , teatro e biblioteca . Come l’oro era stato la creazione e la distruzione della città , la pellicola al nitrato d’argento rappresento’ sia la creazione che la distruzione del teatro locale e della cultura . I soli films sopravvissuti sono i primi , quelli sepolti nella tomba di ghiaccio e ritrovati fortuitamente nel 1979. Quei films raccontano le storie di una cultura invasiva , andata tristemente perduta nel suo nuovo ambiente , in modo addirittura inconsapevole. Una storia che si legge attraverso questi filmati. E’ un cinema di mitologia ed è la mitologia del cinema .

Bill Morrison venne a conoscenza del prezioso ritrovamento nel 1990 , quando cominciò ad occuparsi di materiale d’archivio per raccontare le sue storie sia formalmente che concettualmente. Il suono e la colonna sonora sono un elemento centrale nei suoi lavori .Basti pensare che nella sua totale intransigenza di film-maker , scegliendo come compositore delle musiche Jonsi Birgisson , chitarrista e vocalista della band irlandese postrock Sigur Ros , ha concordato con lui di usare strumenti precedentemente sottoposti a climi estremi , sepolti e congelati prima di venire recuperati e poi suonati.

Creando una vera e propria drammaturgia visiva e sonora con la materia organica del film, Morrison mostra la materialità e la fisicità effimera della pellicola che , nello stesso momento in cui custodisce e contiene l’immagine , si fa carnefice e consuma figurativamente il suo contenuto. ‘ L’idea –sottolinea l’artista – è mostrare le immagini nell’atto morente. ‘ Nei suoi films celebra l’agonia della visione con un atteggiamento nostalgico , abbandonandosi alla fascinazione della morte dell’immagine nell’esatto momento in cui ne celebra il godimento.

MARIATERESA CRISIGIOVANNI

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