L’Europa chiede di tutelare anche i lavoratori asiatici del tessile
I membri della Commissione del Parlamento Europeo per lo Sviluppo sostenibile sono quindi intervenuti per assicurare che i capi acquistati nei negozi non siano il risultato di violazioni dei diritti umani, della salute e dignità dei lavoratori. Lo hanno fatto invitando formalmente la Commissione UE a proporre un sistema di dovuta diligenza vincolante per le imprese che delocalizzano la produzione in altri Paesi. Ciò significa che le aziende sono obbligate a far sì che le linee guida dell’OCSE e le norme internazionali sui di diritti umani e sociali vengano rispettate lungo tutta la catena di produzione.
Proposta una etichetta speciale per le produzioni socialmente sostenibili
«Se non abbiamo uno schema preciso – afferma la commissaria Lola Sánchez Caldentey – che renda chiaro come le aziende devono agire e se, invece, ci affidiamo unicamente all’impegno volontario delle imprese, allora non vedremo mai un vero e proprio rispetto dei diritti dei lavoratori, dei diritti umani e dei diritti sociali». Per ‘incoraggiare’ le aziende del comparto moda ad assumersi questo impegno verso una linea di azione responsabile, gli eurodeputati intendono proporre incentivi ed etichette speciali per i tessuti prodotti in modo sostenibile.
Il monito più terribile viene da disastro di Rana Plaza a Dhaka in Bangladesh: quattro anni fa, oltre 1100 morti e 2500 i feriti restarono vittime del crollo di un palazzo che ospitava decine di laboratori impiegati nella produzione di abiti per alcune dei più grandi marchi internazionali di moda. Un tributo di sangue inaccettabile per un settore globale che ha una fatturato di circa 2,86 trilioni di euro e oltre 75 milioni lavoratori in tutto il mondo.
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