Non solo i giovani, anche i pensionati fuggono all’estero
La maggior parte dei pagamenti è destinata all’Europa, che rimane la principale meta dei pensionati; seguono l’America settentrionale, l’Oceania e il Sud America. È da dire che l’84% delle prestazioni riguarda pensioni calcolate in “regime di convenzione internazionale”, vale a dire frutto di contributi versati in parte in Italia e in parte all’estero, mentre il restante 16%, pari a 59.537 prestazioni per poco più di 559 milioni di euro, corrisponde a prestazioni calcolate in “regime nazionale”, cioè interamente versata in Italia.
Dopo sei mesi di residenza all’estero, il pensionato può scegliere il regime fiscale più favorevole
Da un lato, sostengono a “Itinerari Previdenziali”, la ‘migrazione’ è motivata dalla ricerca di Paesi con un costo della vita minore rispetto all’Italia e riguarda prevalentemente, anche se non solo, le pensioni di importo modesto, a volte integrate al minimo. Dall’altro lato, la scelta di trasferirsi è riconducibile anche ai vantaggi fiscali offerti da taluni Paesi e riguarda prevalentemente le pensioni di importo medio-alto, assoggettate ad alte aliquote Irpef che, nel Paese estero scelto, incide normalmente in misura di gran lunga inferiore, o non incide affatto.
Il pensionato che risiede all’estero per di più di sei mesi, infatti, può domandare all’Inps il pagamento della pensione lorda, optando in questo modo per la tassazione esclusiva nel Paese di residenza oppure per l’applicazione del trattamento fiscale più favorevole. Per questo i pensionati con gli assegni più corposi tendono a scegliere mete con aliquote Irpef meno onerose che in Italia.