Dalla Slovacchia il nano-laboratorio per le analisi del vino
Una scelta non facile visto l’elevato livello scientifico e imprenditoriale dei team in gara, che hanno fatto di tutto per convincere i giudici della loro capacità di trasformare, in tempi compatibili con il mercato, i propri progetti di ricerca in vere aziende. «Nanochallenge è qualcosa di più di un premio accademico – ha spiegato il presidente di Veneto Nanotech Luigi Rossi Luciani -; il vincitore infatti non deve solo mostrare di essere in possesso di una significativa innovazione di prodotto su base nanotecnologica, ma anche di essere in grado di trasformarla in un prodotto con un time to market accettabile. Condizione per l’incasso del premio è infatti quello di fondare entro sei mesi una nuova impresa tecnologica all’interno del nostro Distretto». La decisione della giuria è venuta a seguito di due round di selezione: al termine della giornata di venerdì erano infatti stati individuati tre progetti che, per le loro caratteristiche scientifiche e per la sostenibilità economico-finanziaria del business plan erano sembrate più convincenti. Oltre ad Eurosen, erano infatti arrivati in finale il team Diacool, composto da due giovani ricercatori austriaci che hanno brevettato un materiale innovativo composto da una “miscela” di rame e diamante in grado di ricoprire qualunque tipo di componente elettronico, dai microprocessori ai circuiti integrati e ridurre drasticamente la temperatura e la dispersione di calore, e il team americano Tigon che all’Università americana di Georgia Tech sta lavorando su un innovativo agente biotecnologico che inserito all’interno del corpo riconosce le cellule cancerose e permette di diagnosticarle sin dallo stato iniziale attraverso un sistema di imaging. «La scelta è ricaduta sul team slovacco per un insieme di motivazioni – ha spiegato il professor Renato Bozio che, nella duplice veste di Prorettore delegato alla ricerca e di Presidente del laboratorio Nanofab, ha svolto il ruolo di presidente della giuria -; innanzitutto perché coniugava bene valore scientifico e tempi di realizzazione. I giovani ricercatori sono infatti già in possesso di un prototipo funzionante che, con pochi mesi ancora di ricerca, potrà essere mostrato a tutti gli operatori specializzati del settore. In secondo luogo per motivazioni economiche: l’Italia e il Veneto in particolare, è uno dei maggiori produttori di vino al mondo, e sarebbe veramente un gran risultato se questa nuova nano-impresa sapesse entro breve tempo immettere una innovazione così interessante sul mercato italiano. Infine per ragioni “educative”: questi ragazzi sono un messaggio forte per i nostri ricercatori. L’innovazione interessante non la si può fare solo nelle grandi Università americane che hanno strutture e risorse nemmeno comparabili con le nostre, ma anche in una piccola Università come quella di Bratislava che per valore e storia non è certamente paragonabile all’Ateneo di Padova o ad altri del nostro Paese. Il “sogno americano” non si fa solo in America insomma, ma anche in Europa o in una piccola Università dell’Est europeo».