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Mostra del cinema “VENEZIA 75” - Mariateresa Crisigiovanni

03/09/2018
Mostra del cinema “VENEZIA 75” - Mariateresa CrisigiovanniCHERCHEZ LA FEMME... a Venezia si trova.

Sono ormai note le critiche, pure eccessive, fatte al direttore della Mostra Alberto Barbera, rispetto alla selezione in odore di misoginia di quest’anno. Tuttavia la rassegna presenta in anteprima mondiale le prime quattro ore del documentario monumentale di ben 16 ore che Mark Cousins ha dedicato alle donne registe della cinematografia mondiale, usando quasi mille estratti cinematografici che dal passato al presente coprono ogni continente. Una straordinaria celebrazione che il regista dedica alle donne che hanno fatto la storia del cinema, non portando sullo schermo le loro vite, ma il loro girato.
Mark Cousins è il regista nord irlandese che fu giurato nella sezione ORIZZONTI a Venezia 74 e, va detto, criticato autore dell’ennesimo documentario su Orson Welles “The Eyes of Orson Welles” considerato dalla maggior parte dei critici superficiale e retorico. Tuttavia è pure l’autore di una monumentale opera divulgativa “The Story of Film: an Odissey”, trasmesso in 15 episodi da 60 minuti dall’emittente televisiva MORE 4 e nel 2011 al Toronto Film Festival. Suo è pure, del 2013 il docu “A Story of Children and Film”. Lo si incolpa ripetutamente di non aver saputo collegare i vari capitoli di queste due opere rendendole eccessivamente divulgative. Inevitabile che lo si aspetti ora al varco con “Women Make Film”' dove, scorrendo la storia del cinema al femminile, scandaglia amore, politica, morte e sesso, attraverso lo sguardo significativamente diverso di registe famose ed anche sconosciute alla maggior parte del pubblico oltre che ad alcuni critici illuminati e militanti. Tilda Swinton che è pure il produttore esecutivo del progetto, e che guiderà lo spettatore per tutta la durata pantagruelica del docu, sottolinea come il cinema sia la grande macchina per l’empatia con cui possiamo camminare nei panni degli altri e guardare attraverso i loro occhi. (Va detto che il commento, seppur affascinante, risulta a volte eccessivamente presente e ridondante. Il valore delle registe celebrate è tale da richiedere a volte un silenzio quasi religioso).
Nonostante il piglio sicuramente troppo didascalico ed a volte pedante, le quattro ore che sono passate a Venezia riempiono i nostri occhi di immagini talvolta inedite, altre volte già viste e comunque emotivamente coinvolgenti. Troppo poco lo spazio qui per dedicare il giusto tempo alle registe con le quali Cousins costruisce il suo lavoro. Tuttavia alcune ci sembrano irrinunciabili in quanto extra-ordinarie.
A Barbara Loden, che fu anche attrice di teatro e di cinema, e membro dell'Actors Studio, spetta una particolare attenzione giacché può essere considerata una delle prime “total filmaker”. Nel 1970 scrive, produce, dirige ed interpreta il suo primo film indipendente “WANDA” ispirato da un articolo di giornale. Una donna, incapace di adattarsi al ruolo di moglie e madre accetta il divorzio e l’allontanamento dai figli rappresentando un archetipo completamente inquietante per Hollywood. La regista è una sperimentatrice visiva, ed insieme alla sua protagonista si domanda se esista una possibilità di non accettare lo stile perbenistico richiesto dalla società del suo tempo. Il film, che vinse il Premio della Critica a Venezia nel 1970, si avvicinava con forza al cinéma veritè di Bresson, facendo scelte stilistiche assolutamente insolite : pochissimi attori, luce naturale. improvvisazioni tecniche. Curiosamente rivedendo alcuni spezzoni non si può non far riferimento ad alcuni capolavori wellesiani.
Quanto a cinema sperimentale, già nel ‘43, una delle grandi protagoniste del genere, Maya Deren, elaborava e definiva un linguaggio artistico intrecciato con l’antropologia visuale. Deren, ucraina naturalizzata americana, femminista ante-litteram nel suo linguaggio filmico si ispira al surrealismo francese. Il suo capolavoro “Meshes of the Afternoon” è una delle sue pellicole caratterizzate dal binomio realtà e finzione, dove l'autrice usa poeticamente le immagini legate tra loro secondo criteri simbolici creando passaggi dalla ripresa oggettiva a quella soggettiva. La normatività percettiva viene turbata dalla totale trasgressione del tempo reale ed il ritmo del film è quello visionario del sogno con una forte indagine sull'inconscio. La lettura del “Libro Tibetano dei Morti” influenzò molte sue scelte stilistiche come la figura in nero col volto di specchio che più volte torna nel corso del film, o la ‘doppia’ soggettiva dello specchio che s’ispira ad una pratica buddista per osservare il mondo attraverso un filtro. Poiché la sua opera è costantemente onirica e poetica con forte tentenza al rituale, è considerata ispiratrice di molti artisti visuali a lei contemporanei nonché un punto d’incontro tra lo sperimentalismo di Dziga Vertov e quello più contemporaneo di Reggio. Maya Deren vinse il Grand Prix International a Cannes per la sezione Opere Sperimentali, e con tutto ciò raramente figura nella storia del cinema universale.
Gli sguardi di queste numerosissime donne omaggiate da Cousins, mescolano la cronaca di comportamenti e nevrosi contemporanee con momenti in cui si aprono sguardi lirici. Ci offrono esempi originali di personalità femminili che rifiutano di entrare nelle parti e nei ruoli che la società ha disegnato per loro.
Il ruolo delle donne nella società contemporanea e nell'arte è tuttora in discussione.
Il mondo del cinema non fa eccezione, e quello italiano, in particolare, è testimone di quanto faticosa sia l'affermazione di registe nonostante le idee originali nel campo degli studi e delle ricerche sui film.

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