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Biennale Cinema VENEZIA 75 - Mariateresa Crisigiovanni

05/09/2018
Biennale Cinema VENEZIA 75 - Mariateresa CrisigiovanniBob Mitchum, rapporto confidenziale col divo che non credeva nel cinema.

Cinque anni fa, per la sezione Classi DOC, passavano alla Biennale Cinema due documentari di uno dei più eccentrici tra i fotografi di moda. Quel Bruce Weber che ha scandagliato i volti dello spettacolo, dell'arte, della musica e della letteratura. Uno di questi “Nice Girls Don’t Stay for Breakfast”, ritratto di Robert Mitchum, dopo il passaggio veneziano della durata di 30’ è ritornato nell’estate 2017 alla rassegna “Cinema Ritrovato” di Bologna ulteriormente ampliato restando comunque un ‘work in progress’. Ora se ne vede finalmente quella che potrebbe essere la versione finale in cui tutta la carriera dell’attore viene ripercorsa attraverso gli occhi del fotografo, il quale focalizza la sua attenzione sul rapporto attore – personaggio.
Mitchum, che ha sempre impersonato un sè stesso di pigra e sensuale animalità, ma anche di tristezza autodistruttuva, così schivo alle interviste, si concede all’obbiettivo di Weber in modo spontaneo, intimo ed ironico. Weber racconta di averlo corteggiato mandandogli belle ragazze che di volta in volta gli portavano una pizza, un video, un cd, o quel libro su Picasso di Douglas Duncan che lui amava tanto. Girato quasi interamente in bianco e nero, il film è narrato dal musicista blues di New Orleans Dr. John e contiene interviste rivelatrici a Mitchum, suo fratello John e molti amici. È denso di storie di ogni suo periodo filmico, di risate, di lacrime.
Pochi sanno che Mitchum era compositore e cantante straordinario. Sue le canzoni di “Leaning on the everlasting arms” e “The ballad of Thunder Road” che qui interpreta duettando con Marianne Faithful e Ricky Lee Jones, insieme alle canzoni di un musical tratto dalla sua autobiografia. Così scopriamo pure che compose, a 22 anni, un oratorio prodotto da Orson Welles per il teatro. Donne, alcol e droga non gli hanno impedito di lasciare tra gli amici, i parenti ed i colleghi un’immagine cupamente romantica, anche languida e tuttavia dotata di uno straordinario potenziale comico caratterizzato da una sottile e sardonica ironia.
«Fecero di me una Jane Russell maschio. Volevano che in tutti i film mi togliessi qualche pezzo di vestiario. Per rappresaglia mi misi ad ingrassare e così quando mi levavo la camicia sembravo un lottatore bulgaro». Nella conversazione con Johnny Depp, nella roulotte sul set di “Dead Man” di Jim Jarmush, stanco, invecchiato e appesantito si lascia andare ad un esilarante racconto di quando soggiornava in Africa in una tribù di pigmei. Come non intenerirsi nel rivederlo qui, mai come ora se stesso, nella parte di John Dickinson?
A lungo parlano di lui Clint Eastwood, Albert Ruddy, il produttore de “Il Padrino”, e Benicio Del Toro (ancora preso dall'incubo infantile di lui, predicatore folle, che si aggira a caccia di bambini nel profondo sud visionario de “La Morte Corre sul Fiume”). Tutti conservano un ricordo di lui addirittura innamorato concordando che affrontava il suo mestiere sempre con una dose di disincanto. Coerente col suo voler essere anarchico, non si è mai dato veramente agli incassi ed al sistema dello spettacolo. Ha sempre recitato se stesso pur offrendo una grandissima gamma di ambiguità (il suo sguardo obliquo sotto le palpebre pesanti è onnipresente), e di oscillazioni morali coerenti con le sue contraddizioni di uomo e quelle della società nei cui valori non credeva. Tuttavia la non pacificazione dentro a quel sistema non gli impedì di fondare la sua casa di produzione (la DRM Production) per la quale diresse un notturno film ‘on the road’ scritto da lui medesimo “Thunder Road”, il cui motivo conduttore si può ascoltare nel docu.
Ci affascina sentire la sua imperdibile voce sommessa e carica di sensualità. Straordinariamente, le donne che lo hanno amato, tutte (tra le quali Shirley MacLaine) ne parlano con devozione, tenerezza materna (esattamente come i maschi che lo hanno avuto vicino), senza recriminare che non abbia mai voluto lasciare la moglie, incontrata quando erano adolescenti.
Del docu fanno parte molte scene tratte dai suoi film più celebri tra i quali “Seduzione Mortale” di Otto Preminger, “l Promontorio della Paura” di J. Lee Thompson e “L'Anima e la Carne” di John Huston dove sul set caraibico, il nostro imparò a cantare (e ballare) il calipso.
È noto che Weber è attratto dalla perfezione del corpo maschile ma anche dalle anime ribelli ed antieroiche, tuttavia una sua affermazione ci commuove. Dice, paragonando imprevedibilmente Mitchum a Marilyn Monroe: «Hanno la stessa innocenza che gli uomini e le donne acquistano appena sviluppano il carattere e capiscono chi sono. Tanti uomini avrebbero dovuto essere come lui».
Il docu arriva alla conclusione. E ci chiediamo “Sarà veramente finito?” Weber sostiene che ci siano film che possiedono una loro vita propria e che staccarsene è un po' come rompere un rapporto d'amore. Forse non è ancora arrivato il momento per la parola FINE, ma per noi, oggi spettatori del film è arrivata troppo presto, lasciandoci con un terribile nodo alla gola.

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