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Asterisco Informazioni di Fabrizio Stelluto

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Mestre: fino a domenica "Miserabili" con Paolini

25/11/2006
Ancora una volta, l’autore-attore Marco Paolini fa riflettere, e alla fine anche sorridere, con il suo “Miserabili – Io e Margaret Thatcher”, in scena al Teatro Toniolo di Mestre. Lo spettacolo che Paolini offre al suo numeroso pubblico non è un monologo ma una ballata, con musiche e canzoni originali, ma non per questo meno lucido nella critica della società contemporanea e del vivere quotidiano. Con una carrellata storica degli ultimi trent’anni del mondo, che hanno visto protagonisti della scena politica il presidente americano Ronald Reagan e in Europa, Margaret Thatcher, Paolini si interroga sugli effetti del liberismo economico e del mercato globale, si chiede dov’è andata a finire la libertà individuale, in un mondo in cui ci si sente liberi perché si paga con il bancomat, si ha l’accesso ad internet, si lavora a tempo, grazie alle agenzie interinali, oggi agenzie di somministrazione di lavoro temporaneo.

“Signora Thatcher, dovevamo diventare così secondo i suoi piani? Con la ricchezza delle Nazioni che se n’è andata nel mercato? Ma dove abbiamo sbagliato, se nostra figlia, per cercar lavoro, deve andare lontana a fare il soldato?”. Fra racconti, musica e note, gli interrogativi procedono con una velocità incalzante, mettendo in luce i paradossi dell’uomo contemporaneo, miserabile nella sua condizione reale, ma dall’esterno bombardato dell’illusione di essere un leader, di poterlo diventare con facilità, e di essere soprattutto libero. Ecco allora, che Paolini si fa cantante e rende omaggio a Giorgio Gaber, canticchiando “la libertà è partecipazione”, supportato dal trio de “I mercanti di Liquori”, composto da Lorenzo Monguzzi (voce e chitarra acustica), Piero Mucilli (fisarmonica) e Simone Spreafico.

Lo spettacolo lascia aperti molti quesiti, e forse, per tentar di sollevare lo spirito al suo pubblico, l’attore, che ha portato in scena scottanti inchieste del recente passato italiano, dal Vajont ad Ustica, chiude raccontando il tragicomico infortunio di un lavoratore veneto, provocando una risata liberatoria.

Poi, saluta tutti in dialetto, com’è di sua abitudine.



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