Autonomia Veneto: Confartigianato dice “no a compensazioni”
La travagliata vicenda delle tentate ulteriori forme di autonomia per il Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, offre numerosi spunti di riflessione. Mi limito a tre questi.
Il primo riguarda la comunicazione. Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata ma è prevalso un racconto, soprattutto verso il Veneto delle 23 materie, di un presunto egoismo territoriale. Chiedere di gestire competenze su questioni che avvicinano le istituzioni all’utente finale e di vedere nel contempo riconosciuta l’eventuale efficienza realizzata, entrambi indiscutibili, hanno ceduto il passo ad una versione di comodo, una sorta di sola questione di soldi, pretesa che il Veneto vorrebbe imporre a prescindere.
Era evidente, e ne abbiamo avuto conferma, che riordinare i trasferimenti con criteri quali i costi standard, avrebbe toccato rendite di posizione e inefficienze. La paura è stata ed è ancora tale che anche avviare il processo confermando la redistribuzione con i criteri di spesa storica genera un allarme che blocca ogni passo. Anche nel convinto apporto che artigiani e piccole imprese hanno dato alla proposta, non è mai stata messa in discussione la necessità di solidarietà e di un’azione perequativa. Casomai viene denunciato il tentativo di utilizzare questo principio costituzionale quale alibi per finalità meno nobili di spesa corrente e per l’ennesimo rinvio di serie riforme di governo della spesa pubblica.
Il secondo motivo di riflessione riguarda il fatto che, sull’onda del portato della riforma costituzionale del 2001, siamo passati al secondo tempo del federalismo senza neppure un consuntivo della cinquantennale esperienza delle Regioni a Statuto Ordinario. L’anno prossimo saranno infatti cinquant’anni dall’avvio delle Regioni. Passare ad una fase successiva senza un’analisi sui risultati e limiti della prima stagione di regionalismo, ha di fatto messo in secondo piano, la questione delle competenze tra i due livelli, la questione delle Regioni meridionali e delle Regioni a Statuto Speciale.
Questioni irrisolte che, se non affrontate, rendono difficile evitare ulteriori squilibri e non subirne le conseguenze. Va inoltre detto che il nostro federalismo è in parte falso. Senza reale autonomia impositiva e conseguente responsabilizzazione dei decisori della spesa, la ricerca dei responsabili per debiti e inefficienze diventa ardua. Uno degli alfieri del federalismo, il prof Giulio Tremonti, ripeteva sovente l’efficace affermazione: vedo, pago e voto; è concetto che si è perso, assieme a tanti altri propositi, con il passare degli anni. Si è invece consolidato il ruolo della Stato esattore, peraltro forte con i deboli e meno con quelli in grado di evadere. Uno Stato pigliatutto e redistributore secondo logiche che sono finite per premiare inefficienze e incrostazioni e rinviare sine die qualsiasi impegno ad invertire la rotta. Quello che, sempre il prof Tremonti, definiva “l’albero storto della finanza decentrata“.
Il terzo motivo riguarda la comparsa del concetto, indigesto e di sapore ricattatorio, della compensazione. Per bilanciare il tentativo di una più corretta redistribuzione e soprattutto di un maggiore impegno nella gestione della cosa pubblica e magari condizionare le Regioni più sfidanti, come lo sono le tre battistrada della richiesta di ulteriori forme di autonomia, le Regioni meridionali, ben spalleggiate da forze politiche del tutto trasversali, hanno chiesto un ulteriore incremento del fondo di perequazione. Come dire, care Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna…voi fate pure efficienza e ciò che risparmiate noi lo destiniamo a rafforzare privilegi, spesa corrente, inefficienze.
Una autentica beffa, ovviamente indigeribile; confido che nessuno dei tre governatori finisca per accettare, magari per sfinimento, un simile scambio. Anziché affrontare la questione della qualità della spesa pubblica, della semplificazione dell’apparato pubblico, della riduzione dei costi eliminando sprechi e inefficienze si finisce per dividere ancor più il Paese, tra nord e sud e, all’interno delle stesse due aree, tra
chi lavora e produce e chi invece intende continuare a godere di rendite e parassitismo. Non meravigliamoci poi se una simile situazione finirà per produrre, da un lato ulteriore sfiducia nella politica e, dall’altro, l’accensione di nuovi rancori; tutto ciò proprio nel momento in cui vi è bisogno di condividere una nuova idea di futuro nella quale credere e riconoscersi.
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