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VENEZIA 76: Franco Maresco e le sue battaglie

09/09/2019
 VENEZIA 76: Franco Maresco e le sue battaglieAl grande pubblico cinematografico il suo nome risulta sicuramente sconosciuto. Tuttavia lo spettatore televisivo ricorderà quel ‘Maresco e Ciprì’ che festeggiati dal coraggio di Enrico Ghezzi e Marco Giusti, imperversarono in televisione dal 1992 al 1996 rappresentando il peggior mondo possibile in una Sicilia totalmente brutta e cattiva e mafiosa dove il grottesco della realtà si inabissa nella più infame rozzezza e crudeltà. Il lavoro con Ciprì ha aperto un mondo sub-umano trascurato e dimenticato, un cinema che scandaglia la bassezza, la miseria, l’incompletezza dell’uomo, toccando le pieghe più grottesche ed infime del suo degrado in un ambiente contornato di ruderi e macerie di resti industriali ed urbani.
Il loro sodalizio, prima di interrompersi, crea lungometraggi di fortissimo impatto come “Lo zio di Brooklyn”, “Totò che visse due volte”, “Il ritorno di Cagliostro”. Franco Maresco abbandonato il sodalizio, torna a Venezia con “Belluscone” nel 2014, dove vince il premio della Giuria. Ora in Concorso arriva con il lungometraggio “La mafia non è più quella di una volta”. A 25 anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio Maresco decide di fare un nuovo film, traendo forza da un suo recente lavoro dedicato a Letizia Battaglia (una delle 11 donne che hanno segnato il nostro tempo). Poco più di trenta minuti per raccontare i segreti di un’artista. Più volte Letizia ha sottolineato di non voler essere considerata la fotografa della mafia degli anni ‘70 ed ‘80. Ed infatti nel docu Maresco evidenzia suoi momenti privati e toccanti come quando, giovanissima e non ancora fotografa, incontrava, inconsapevole, un Ezra Pound ormai disilluso che le insegnava quello che sarebbe diventato il suo credo di vita: “Strappa da te la vanità”.
Qui le fotografie di Letizia assumono un valore nostalgico, diventano una reminiscenza etica, il suo sguardo calato dentro la sua storia personale. Tutto quello che in “La mia battaglia”, realizzato per il MAXXI, era pathos, voglia di rinnovamento, qui diventa un gioco devastante e nichilista. Il film in concorso a Venezia inizia laddove finiva “Belluscone” con Ciccio Mira che diceva: “Non frequentare mafiosi perché la mafia non è più quella di una volta”. Nel cast Matteo Mannino, produttore di feste in piazza; Cristiano Miscel cantante neomelodico; Franco Zecchin, fotografo. Qui Maresco mette insieme Letizia Battaglia, la fotografa famosa che si è pure impegnata in prima persona attraverso la politica nel riscatto civile della città, e l’impresario delle feste di piazza, palcoscenico su cui spesso confluivano ambizioni artistiche ed interessi legati alle famiglie mafiose e alla loro occulta economia.
Il film è una sorta di diario che va dal 23 maggio 2017 al 23 maggio 2018 e Letizia Battaglia è una sorta di Virgilio al femminile a cui il regista chiede lumi rispetto a certe cose strane che lo inquietano. Ne nasce una tenzone, anche scherzosa, ma spesso drammatica. Letizia, nei panni di una anziana prostituta, fuma nella cripta dei Cappuccini, grida la sua indignazione davanti alle commemorazioni ipocrite dei politici, s’intristisce di fronte all’albero di Falcone e chiede se esista una alternativa a questa sagra della porchetta. Così Maresco le introduce la figura di Ciccio Mira, mafioso che si barcamena in un mondo di omertà e, nauseato, dà fondo al suo patrimonio per un evento allo Zen in onore di Borsellino e Falcone. Letizia e Ciccio guardano ad un mondo che non comprendono, verso il quale non c’è adesione. Il film non ha speranza e non ne dà, non contempla una ipotesi che possa frenare la realtà tecnologica sempre più potente, invasiva e pervasiva da cui sembra impossibile uscire.
Il grande tema è certamente l’indifferenza delle persone. Anche per la Battaglia i mafiosi di oggi sono antropologicamente diversi da quelli di ieri. Sono andati all’università, conoscono le lingue, si profumano. Li trovi nelle banche, nelle istituzioni, nella polizia. Sono i manager della più florida delle industrie: la droga. Maresco si dimostra molto critico verso le serie televisive che ritiene siano un’abbuffata mediatica sciacalla e mistificatrice che non libera l’Italia e Palermo dal fenomeno mafioso ma aiuta a desensibilizzare le masse rispetto a questo argomento. Ha persino creato fenomeni di seduzione, di fascinazione e di mitizzazione che cancellano completamente la distinzione etica tra chi sta da una parte e chi dall’altra. E s’indigna che al giudice Ingroia sia stata revocata la scorta, ma soprattutto che la gente non si sia mobilitata. Maresco non vede una classe di intellettuali o di artisti che mettano in moto idee e passioni. La cultura è intesa in senso turistico e consumistico in una città che è diventata una supervetrina.
Il film, cofinanziato dalla Sicilia Film Commission nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei, si pone dunque come un tentativo, per altro riuscitissimo, di creare distacco e dissenso da una mentalità mafiosa tuttora fortissima, forte dell’ironia del regista sempre in bilico tra il grottesco ed il tragico.


Mariaterea Crisigiovanni

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