Dopo il Covid, parleremo più spesso con i robot intelligenti
In piena pandemia, Ibm ha, per 90 giorni, messo a disposizione di governi, istituzioni sanitarie e istituti di ricerca il suo “Watson Assistant for Citizens”, il chatbot che era perfettamente in grado di rispondere alle domande base degli utenti su come identificare i sintomi del covid-19 o come fare il test. E anche Google ha lanciato il suo chatbot anti-covid, sgravando gli operatori dei call center dalle domande più diffuse e semplici.
Merito di sistemi di AI sempre più sofisticati e precisi, soprattutto in forza degli enormi progressi fatti negli ultimi anni dall’elaborazione del linguaggio naturale. Sfruttando l’apprendimento automatico e l’elaborazione del linguaggio naturale, i chatbot AI già oggi possono comprendere l’intento alla base delle richieste dei clienti, tenere conto dell’intera cronologia delle conversazioni di ciascun utente quando interagisce con loro e rispondere alle domande in modo naturale e ‘umano’.
Secondo Juniper Research, istituto di analisi specializzata in ricerche e tendenze del mercato della tecnologia digitale, questo farà sì che da qui al 2022 l’uso dei chatbot nel settore sanitario passerà dall’attuale 12% a oltre il 75%, mentre le banche arriveranno ad automatizzare fino al 90% delle loro interazioni con i clienti. E per gli utenti non sarà difficile adattarsi: innanzitutto un chatbot eviterà l’insopportabile procedura delle opzioni del tipo “premere il tasto 1 per …” ed in secondo luogo sarà come ‘dialogare’ con gli assistenti vocali tipo Siri, Google home, Amazon Alexa, compagnia abituale per un numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo.
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