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‘VENEZIA 77’ - L’AMORE AI TEMPI DI PINOCHET

08/09/2020
‘VENEZIA 77’ - L’AMORE AI TEMPI DI PINOCHETIl saccheggio del cinema nella letteratura in questa Mostra è straordinariamente interessante: molti i riferimenti e le sceneggiature tratte da romanzi. Ci aspetta quindi il tormentone: “È meglio il libro o il film ?”
Particolare attenzione, a nostro avviso, richiede l’opera di Rodrigo Sepulveda, regista cileno qui al suo quarto lungometraggio che passa a Venezia nella raffinata sezione ‘Giornate degli Autori’, tratto dal romanzo omonimo ‘Tengo miedo torero’ di Pedro Lemebel. Come dice il regista ‘Quando lavori con un’opera che fa parte della storia del Chile, sai che si gioca col nostro passato’.
Ci sono milioni di lettori che adorano Lemebel considerando il suo romanzo il libro del nuovo millennio. Si tratta di uno degli autori cileni più conosciuti anche fuori dal suo Paese che supera i confini del contesto della militanza per la liberazione omosessule.
Il film è una sfida storica, ma soprattutto un incontro di tre genialità: lo scrittore, il regista ed il protagonista, Alfredo Castro (l’attore feticcio di Pablo Larrain). Una storia che sfiora la magia. Nel 2005 Pedro Lemebel invitò Castro in un bar del quartiere Lastarra per chiedergli di recitare nella versione cinematografica del suo romanzo. A quel tempo Vanni Gandolfo stava per dirigerlo e lo scrittore disse a Castro: “Il personaggio della Loca del Frente è tuo e nessun altro deve farlo”.
Il progetto si arenò e dieci anni dopo Lemebel morì di cancro. Finalmente nel luglio 2019 le riprese iniziano nelle strade di Santiago con Alfredo Castro, irrinunciabile protagonista, che ci dice: “Il carattere della Loca è tremendamente emotivo: la sua vulnerabilità, la sua povertà, la sua intelligenza, il buon senso e le pulsioni quotidiane ne fanno un personaggio festoso e disperato insieme”.
La Loca è così povera e di destra da sostentarsi ricamando tovaglie per i militari del regime, ma la passione per Carlos, militante del Fronte Patriottico Manuel Rodriguez, a caccia di un nascondiglio per le riunioni clandestine, la trafigge fino alle ossa e la costringe ad un cambiamento ideologico. Sepulveda dichiara di aver sempre ammirato la poetica di Lemebel.
Ha voluto ritrarre una Santiago degli anni ’80, diversa rispetto ad altri film che si svolgono nello stesso periodo. Una relazione tra un travestito anziano ed un giovane guerrigliero sotto copertura che lo usa per nascondere le armi per un futuro attentato a Pinochet, una città in rovina dopo un terremoto che, dal controllo delle forze militari e dei coprifuoco notturni, passa ai canti di protesta ed al ritorno dei boleri. Non c’è sguardo malinconico sul passato, ma un grande rispetto per il linguaggio di Lemebel, gioioso e barocco, che celebra il trionfo dei sentimenti e dell’erotismo su pregiudizi, barriere e meschinità. Il film riprende di Lamebel la complessa esplorazione sull’omosessualità, in un Paese dominato dalla tirannia e dai pregiudizi dove anche la sinistra era totalmente omofoba. E Carlos, sia nel libro che nel film, radicale e borghese del Frente, s’innamora della povera Loca, è sedotto dalla sua simpatia, dalla sua premura, dal senso dell’umorismo… e dalle sue follie sessuali.
Quando militava nel collettivo Las Yeguas del Apocalipsis Pedro Lemebel metteva i tacchi neri per trafiggere con le punte a spillo l’equilibrio del sistema maschilista. Le Yeguas (le giumente) si associarono contro la sistematica umiliazione dei cittadini attraverso misure d’impoverimento programmato. Così tra le altre cose furono capaci di offrire alle madri dei desaparecidos il più commovente degli omaggi: quella ‘cueca’ ballata a piedi scalzi su una carta dell’America Latina ricoperta di vetri rotti.
Pedro Lemebel fu artista, scrittore, iconica voce radiofonica degli anni immediatamente successivi alla dittatura. Si mosse in diversi modi e su vari fronti incontrando pure le femministe e fondando nel bel mezzo della dittatura La Casa de la Mujer, permettendo alle donne di iniziare a prendere coscienza della loro condizione sociale, offrendo loro un linguaggio poco frequentato per affrontare la diseguaglianza politica, sociale e culturale, il lavoro domestico e la violenza di genere. Il lavoro sul linguaggio è davvero per Lemebel una vocazione: ogni discorso evoluto è un adornarsi della mente e del corpo. Esattamente come per la Loca che si presenta bellissima ed impeccabile al picnic organizzato dall’uomo che ama, per attentare alla vita del dittatore.

Mariateresa Crisigiovanni

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