MOZART E SALIERI IN UN DITTICO MAI RAPPRESENTATO A VENEZIA
Oltre che per meriti musicali, Giuseppe II si segnalò anche per una politica che oggi si definirebbe progressista, incentrata sul ridimensionamento dei privilegi di clero ed aristocrazia (infatti senza il suo intervento la rappresentazione delle Nozze sarebbe stata impossibile) a vantaggio del potere centrale dello Stato; una politica che risentiva dell’influsso degli ideali illuministici e di modernizzazione della società allora sempre più diffusi.
Giuseppe II, inoltre, non doveva mancare di fantasia e di un certo senso dell’umorismo, dal momento che, in occasione della visita a Vienna della sorella, Maria Cristina d’Asburgo-Lorena, accompagnata dal consorte duca Alberto di Sassonia-Teschen, governatore dei Paesi Bassi, ebbe l’idea di onorare gli illustri sospiti con una serata in cui si mettevano a confronto l’opera italiana e un tipico prodotto della civiltà germanica come il singspiel. A rappresentare la prima fu scelto, né poteva essere altrimenti data la sua posizione di maestro di cappella alla corte imperiale, Antonio Salieri, mentre il singspiel fu affidato a Mozart, che, per onorare l’augusta commissione, interruppe addirittura la composizione delle Nozze di Figaro.
Ignoro, poi, se Giuseppe II fosse così birichino da attizzare consapevolmente, con quel doppio incarico, la rivalità, presunta o reale che fosse, fra i due compositori; quella rivalità di cui si è favoleggiato fino ai giorni nostri e che, secondo la leggenda nera nobilitata dalla “piccola tragedia” in versi di Puškin Mozart e Salieri (1830) messa in musica quasi integralmente da Rimskij-Korsakov nell’opera omonima (1898), esplose nell’avvelenamento di Mozart da parte di Salieri. Invenzioni, naturalmente, e anche piuttosto sciocche.
Fatto sta che il 7 febbraio 1786 furono rappresentati, nel giardino d’inverno (orangerie) del castello di Schönbrunn a Vienna, prima Der Schauspieldirektor, in italiano L’impresario teatrale, comunemente chiamato singspiel ma definito da Mozart commedia con musica e lavoro d’occasione dal librettista Johann Gottlieb Stephanie, già autore dei versi del ben più meritevole Die Entführung aus dem Serail; a seguire il divertimento teatrale in un atto di Antonio Salieri Prima la musica e poi le parole, su libretto di Giovanni Battista Casti, tipica opera buffa in stile italiano.
Entrambi i lavori mettono in scena l’allestimento di un’opera, scherzando sulle difficoltà derivanti dalle pretese di supremazia artistica delle primedonne, dalle intromissioni dei loro amici altolocati, dall’entità dei compensi da elargire. Ma nonostante l’esilità delle trame - più che altro un pretesto per l’esibizione di cantanti e attori a beneficio dell’imperatore e dei suoi ospiti – viene toccato, anzi sfiorato, qualche tema non banale legato all’attualità teatrale dell’epoca: i rapporti fra musicista e librettista e fra testo e musica, i tempi strettissimi che i committenti imponevano agli autori e i sotterfugi più o meno tollerati cui questi ricorrevano per rispettare i contratti, le astuzie del mestiere per fare cassetta puntando su lavori mediocri ma di facile effetto, le relazioni e la compatibilità fra generi diversi (tragico, brillante, comico, patetico ecc.).
Le due operine sono state proposte al Teatro Malibran nell’ordine inverso rispetto a quello osservato nel 1786 a Schönbrunn, quando a Salieri, Kappelmeister imperiale, fu riservato l’onore di chiudere la serata con il suo lavoro. In seguito la storia ristabilì le giuste gerarchie e oggi, a Venezia, si è proposto prima Salieri e poi Mozart.
Le due opere si sono avvalse del prezioso lavoro di direzione e concertazione di Federico Maria Sardelli, grande esperto della musica antica ed in particolare di Antonio Vivaldi, del quale la Fenice ha avviato da qualche anno la riscoperta della sua straordinaria produzione operistica. Le due partiture d’occasione sono state valorizzate in tutto ciò che possono ancora dire e trasmettere al pubblico di oggi: in Salieri, il brio caratteristico dell’opera buffa italiana, con la brillante alternanza fra i pezzi chiusi ed i recitativi, cui sono affidati i battibecchi fra il Poeta ed il Maestro di musica. In Mozart si è notata l’attenzione con cui Sardelli ha sottolineato il peso musicale delle parti cantate – arie, terzetto e finale – all’interno di un lavoro che affida tutta la parte iniziale alla prosa. Si tratta di pezzi che vanno oltre la generica seppur piacevole brillantezza dell’opera buffa e possiedono una singolare intensità drammatica oltre che un rilevante valore musicale. Del resto, va tenuto presente che questo è un Mozart artisticamente maturo - se ha senso esprimersi in questi termini per un musicista morto a 35 anni - dal momento che la composizione del Der Schauspieldirektor è coeva a quella delle Nozze di Figaro. Infine, va apprezzata la cura con cui il maestro ha seguito ed assecondato l’impegno dei cantanti sul palcoscenico.
E a proposito di questi ultimi, impegnati quasi tutti sia in Salieri sia in Mozart, ricordiamo il Poeta di Francesco Ivan Vultaggio, dalla corretta linea di canto, dalla voce ben proiettata e dall’apprezzabile timbro baritonale. Accanto a lui è apparso scenicamente disinvolto ma vocalmente sbiadito il Maestro di cappella del basso Szymon Chojnacki, più a proprio agio in Mozart nel ruolo di Buff, sia nella lunga parte recitata sia nelle poche battute di canto conclusive. Il soprano Rocío Pérez si è fatta apprezzare sia in Salieri sia in Mozart per la sua interpretazione spigliata e piena di verve, con una presenza che riempie il palcoscenico ed un uso appropriato dello strumento, il che permette alla voce di correre incisiva e vibrante per tutto il teatro nonostante la scarsa ampiezza della cavata ed un timbro un po’ asprigno. Meno espressiva la presenza del soprano Francesca Boncompagni, alla quale si richiederebbero più estroversione e teatrale sfrontatezza, oltre che una vocalità – peraltro bene impostata - più franca ed incisiva. Infine, per chiudere con i cantanti, apprezzabile la limitata performance del tenore Valentino Buzza in Mozart.
Divertenti e divertiti gli attori impegnati in Mozart, a cominciare da Karl-Heinz Macek, un Monsieur Frank misurato ed espressivo insieme; e poi Roberta Barbiero e Francesco Bortolozzo, esilaranti nel loro provino, tutto agito secondo l’enfasi caricaturale del miglior cinema muto. E poi, tutti a posto nei rispettivi ruoli, Marco Ferraro, Michela Mocchiutti, Valeria de Santis.
Certo, tanto gli attori quanto i cantanti hanno tratto giovamento dalla mano esperta del regista Italo Nunziata, che si è avvalso della ormai consueta ed apprezzata collaborazione della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Ne è uscito uno spettacolo da segnalare prima di tutto per la cura con cui sono stati studiati movimenti e atteggiamenti dei singoli personaggi, a ciascuno dei quali è stata attribuita una personalità spiccata. Nessun facile anonimato, quindi, ma una caratterizzazione definita con attenzione ed acume caso per caso.
Prima la musica e poi le parole è stata ambientata negli anni Quaranta del secolo scorso, in un ufficio scuro appesantito da mobilia ed attrezzeria altrettanto greve. Il contesto vagamente opprimente è però ravvivato dalla verve con cui si muovono i personaggi, con il Maestro di cappella che si sposta qua e là sul palcoscenico a bordo della sua poltrona da ufficio munita di rotelle e la “virtuosa seria” Donna Eleonora (Francesca Boncompagni) che entra in scena come una vera diva dell’epoca, avvolta in una pelliccia ed accompagnata da uno staff servizievole ed efficiente con tanto di fotografo, segretaria, assistente ecc.
Un’ambientazione divertente ma più convenzionale e meno riuscita rispetto a quella immaginata da Nunziata per Der Schauspieldirektor. L’operina di Mozart è collocata negli anni Cinquanta del Novecento all’interno di un palcoscenico vuoto, in cui i personaggi si muovono come spaesati e dissociati alla ricerca di un impresario che dia loro una personalità, che li faccia vivere insomma, sulla falsariga del pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”. Infatti, quando entrano in scena sono grigi, incolori, e diventano delle distinte soggettività, con degli abiti colorati, solo durante i provini davanti all’impresario.
Nel sottolineare la funzionalità di costumi e luci – queste ultime di Andrea Benetello – rispetto alla impostazione registica, non resta che concludere riferendo dell’eccellente successo, alla pomeridiana di sabato 17 ottobre, tributato dal pubblico, convinto della validità della proposta ma anche grato di veder vivere il teatro e l’opera in tempi così grami.
Adolfo Andrighetti