AL MALIBRAN UN BAROCCO RIPROPOSTO CON IRONIA E FEDELTA’
Si tratta, in effetti, del tentativo più che riuscito di presentare al pubblico di oggi, in maniera che possa comprenderla ed apprezzarla, un’opera di straordinario valore sul piano musicale ma dalla drammaturgia improponibile per il gusto odierno, in quanto farraginosa, involuta, contraddittoria, irrisolta; un’opera che proviene da un mondo (prima assoluta nel 1727 al teatro S. Angelo di Venezia) lontanissimo dall’attuale molto più di quanto la stessa distanza cronologica possa indicare e non solo per civiltà, cultura, sensibilità oltre che per gli assetti sociali ed economici, ma per il modo stesso di frequentare il teatro d’opera, allora il luogo principale ove si concentrava e si svolgeva la vita di relazione, oggi la nicchia ove si custodiscono gelosamente, cercando di animarle e di rinnovarle, forme di spettacolo “alte”, di continuo insidiate nell’interesse dei fruitori dalle numerose altre più “facili” offerte dallo sviluppo tecnologico.
Eppure anche questo teatro in musica, così remoto dalla sensibilità di oggi, può riacquistare vigore e credibilità se lo si ripropone nella sua essenza più autentica, come fa Ceresa, che con questo “Orlando furioso” indica una strada conservatrice in apparenza, in realtà assolutamente innovativa, nell’approccio all’opera barocca. Il regista, infatti, ne coglie il significato più profondo, quello della meraviglia che destava nel pubblico con i suoi allestimenti fantasmagorici, le sue trame rocambolesche, la sua musica trascinante, riproponendoci il tutto non attraverso una ricostruzione fedele che accuserebbe uno stantio retrogusto museale e sarebbe comunque impossibile per ragioni di costi, ma mediante una revisione che offre il decoro e il gusto dell’epoca filtrati attraverso una elegante e garbata ironia.
Così la meraviglia, complice ovviamente l’irresistibile musica di Vivaldi, torna ad affacciarsi alla nostra disincantata mentalità di spettatori dei XXI secolo, rivolgendosi a ciò che rimane in noi di fresco, di spontaneo, forse di infantile, attraverso il linguaggio universale di una bellezza seducente ed affascinante, seppure destinata soprattutto al divertimento e all’intrattenimento.
Nulla dei tòpoi barocchi che la vicenda dell’”Orlando furioso” propone viene quindi trascurato ed evitato, ma tutto è raccontato con il sorriso sulle labbra attraverso un linguaggio teatrale godibilmente illustrativo: dalla lasciva e rutilante reggia di Alcina al mare in tempesta durante il naufragio di Medoro, dall’arrivo dal cielo dell’ippogrifo che porta sulla groppa Ruggiero al gigante Aronte che Orlando sconfigge, anzi letteralmente riduce a pezzi, durante la sua pazzia.
A ciò si aggiungono un palcoscenico molto dinamico senza essere frenetico, con cantanti e mimi che sanno sempre cosa devono fare e lo fanno benissimo, una scenografia (Massimo Checchetto) fastosa e giocosa allo stesso tempo, ispirata a modelli d’epoca, con architetture e scelte ornamentali simpaticamente spettacolari, dei costumi (Giuseppe Palella) bellissimi e ricchissimi del tutto adeguati al contesto, delle luci (Fabio Barettin) indispensabili nella loro varietà per creare atmosfere ed illustrare situazioni; e si avrà il risultato di uno spettacolo, ecco un altro punto tutt’altro che trascurabile, che rispetta la musica, per cui fra ciò che si vede in palcoscenico e ciò che esce dal golfo mistico esiste una sintonia, meglio ancora un’armonia, che asseconda l’esigenza di equilibrio, di razionalità dello spettatore, sempre più rassegnato ad una schizofrenia teatrale in cui la musica è ridotta a colonna sonora di una storia che i responsabili di regia e drammaturgia ci vogliono raccontare nonostante il libretto piuttosto che attraverso di esso.
Il miracolo di questa riproposizione ironica, divertita e insieme fedele dell’universo teatrale barocco è possibile ovviamente solo se sostenuto da una resa musicale all’altezza, il che al Malibran puntualmente è avvenuto. A cominciare dalla forza vitale che il maestro Diego Fasolis è capace di insufflare nella partitura, restituendola, grazie anche all’eccellente collaborazione fornita dall’orchestra della Fenice, in tutta la sua fantasmagorica ricchezza melodica e strumentale, in tutta la sua trascinante energia ritmica.
Preparatissimo, felicemente coinvolto, stilisticamente inappuntabile il cast, cui va tutto l’apprezzamento possibile.
L’Orlando del contralto Sonia Prina, grande specialista di questo repertorio, esibisce un canto di forte intensità drammatica ed emotiva pur nel rispetto di una linea esecutiva sempre appropriata. La varietà di colori e di accenti, l’espressività della parola cantata, in uno con uno stato di ottima forma vocale ed una instancabile dinamicità sulla scena, fanno dell’Orlando di Sonia Prina un momento artistico prezioso sul piano teatrale oltre che su quello musicale.
Il suo contraltare, Alcina, è interpretato dal mezzosoprano Lucia Cirillo, che, dopo un avvio che è parso controllato e prudente, ha acquistato via via sicurezza e vigore, giungendo a replicare la bella performance del 2018 e confermando la classe di un’artista di assoluta sicurezza e precisione nella linea vocale, oltre che dalla presenza scenica fascinosa, ammaliante e garbatamente ironica.
Eccellente e molto applaudito il Ruggiero del controtenore coreano-americano Kangmin Justin Kim, la cui duttilità vocale gli permette di spaziare con ottimi esiti su tutta la gamma dei sentimenti che l’estetica barocca propone, alternando dolcezza, passione, rabbia grazie ad un’emissione ben controllata e modulata su tutte le altezze del pentagramma e su tutti i livelli dinamici.
Il soprano Michela Antenucci è un’Angelica perfettamente centrata per il canto fresco, luminoso, oltre che per l’aggraziata presenza scenica. Il mezzosoprano Loriana Castellano è una Bradamante vocalmente ferrata e molto coinvolta sul piano teatrale, il che può dirsi anche per il simpatico Medoro del mezzosoprano Laura Polverelli. Vocalmente robusto ed autorevole oltre che dalla imponente presenza scenica l’Astolfo del basso Luca Tittoto.
Alla serale del 28 settembre pubblico entusiasta, divertito e conquistato, che non si stancava di applaudire tutti gli artefici dello spettacolo, compreso, per i suoi brevi ma appropriati interventi, il coro della Fenice diretto da Alfonso Caiani.
Adolfo Andrighetti