L’ONORE TRIONFA E ANCHE IL TEATRO IN MUSICA ALLA FENICE
Non si tratta, come il titolo farebbe supporre, di una riflessione moraleggiante sugli usi e costumi di personaggi paludati di alto sentire, ma appunto di una commedia, nella quale si assiste ad una sarabanda caotica, ad alto livello di licenziosità, animata da quattro coppie che si intrecciano, si contrappongono, si desiderano, si odiano, fino alla ricomposizione finale, ove, giusto il titolo dell’opera, trionfa l’onore, cioè buon senso e realismo.
Il merito dell’eccellente riuscita di questa nuova produzione, salutata al calar del sipario da intensissime e giustificate ovazioni del pubblico, va ascritto in parti uguali alla componente scenica e a quella musicale. Il palcoscenico è tenuto in mano con sicurezza esemplare dal regista Stefano Vizioli, coadiuvato da Ugo Nespolo per scene e costumi, questi ultimi realizzati con gusto e abilità da Carlos Tieppo. Nevio Cavina è il responsabile dele luci.
Vizioli riesce a conferire coesione e un ritmo compatto, senza una sbavatura, senza un momento di stasi, con la massima vitalità ma senza quella frenesia che il vorticoso alternarsi delle situazioni potrebbe suggerire, allo scervellato agitarsi degli otto personaggi in fregola. Tutto sul palcoscenico funziona a meraviglia, come un meccanismo perfettamente oliato in cui ogni ingranaggio si incastra senza attrito nell’altro a creare il movimento richiesto; e si rischia di dimenticare bellezze e difficoltà del canto per seguire il gustoso alternarsi dei personaggi sulla scena, che danno vita a simpatici siparietti ricchi di humor e di animazione.
Non sono tanto le singole trovate, numerose e spesso ben centrate, a riscattare una comicità inevitabilmente datata risalendo all’inizio del settecento, quanto, come si accennava, il ritmo, sostenuto ma non troppo, mantenuto sul palcoscenico dal regista, che manovra con ammirevole sicurezza e capacità professionale movimenti e gestualità degli otto personaggi; ognuno dei quali, per di più, è caratterizzato in maniera gustosa ed accurata, non sfuggendo allo stereotipo ma anzi valorizzandolo con intelligenza per sottolinearne l’effetto comico.
All’eccellente esito dello spettacolo dà un contributo determinante Ugo Nespolo, scenografo e costumista, che avvolge la scena - tranne alcuni momenti seri del III atto affidati al personaggio di Leonora che si svolgono su un fondale scuro - in una meravigliosa sarabanda colorata, ove sono dominanti le quinte decorate con grandi figure di animali, di case o di natura, il fondale geometrico ma altrettanto vivace, e i costumi, di fogge varie e di epoche diverse, anch’essi sovrabbondanti di colore, fantasia, allegria; il tutto rimanendo nell’ambito aureo dell’equilibrio, del buon gusto, della creatività sollecitata al massimo grado ma sempre nel pieno controllo dei mezzi usati allo scopo. E altrettanto può dirsi del disegno luci.
Insomma, verrebbe da dire, uno spettacolo più da carnevale che da inizio quaresima, nel quale il giocoso e vitalissimo succedersi delle situazioni erotiche si riflette come in uno specchio nella festa dei colori e della fantasia proposta da scene e costumi; e, forse, viene reso ancora più ammiccante dall’ambiguità sessuale di alcuni personaggi, dovuta certo alla disponibilità degli artisti sulla piazza all’epoca della prima per cui si dovevano accettare quelli che c’erano, ma che finisce per accentuare, almeno per la sensibilità di oggi, quel senso di licenziosa confusione che caratterizza la vicenda.
Riccardo, ad esempio, è un seduttore impenitente, collezionista seriale di conquiste femminili, che, dopo aver messo incinta Leonora, vuole ora spassarsela con Doralice fingendosene innamorato perso e pronto a fuggire con lei scopo matrimonio. Ebbene, Riccardo è un soprano donna en travesti sin dalla prima assoluta dell’opera, mentre, secondo la finzione, deve corteggiare, sbaciucchiare, brancicare altre donne.
Il personaggio comico di Cornelia, riproposizione del buffo stereotipo della vecchia in fregola ancora a caccia di gratificazioni erotiche, è affidato, secondo l’uso barocco consacrato da illustri precedenti come Monteverdi, ad un tenore, il che ne accentua la componente comica ma anche la fluidità di genere, vista la frequenza delle schermaglie amorose fra Cornelia e il suo amato Flaminio, entrambi tenori.
E il tocco conclusivo lo mette Erminio, innamorato di Doralice, che aggiunge il suo timbro asessuato di controtenore alla allegra miscellanea.
Anche la parte musicale dello spettacolo è di alto livello, in primo luogo grazie alla impeccabile preparazione musicale, stilistica e scenica degli otto protagonisti, che costituiscono un ensemble affiatato, divertito, professionalmente perfetto. È una gioia vedere questi artisti muoversi e cantare sul palcoscenico con tanta sicurezza e competenza.
Il soprano Giulia Bolcato è un Riccardo che si presenta come un giovanetto dalla voce limpida, adamantina e dall’emissione fluida, cui si aggiunge l’incedere ardito, sprezzante, secondo una ben riuscita imitazione di un certo machismo ‘che non deve chiedere mai’. Riccardo è stanco delle lagne di Leonora, da lui sedotta e che ricorda molto la Donna Elvira del “Don Giovanni” di Mozart, mentre è stuzzicato assai da Doralice. Ma dopo aver subito una ferita in duello da Erminio, a sua volta innamorato di Doralice, rinsavisce, si pente e sposa Leonora. Quest’ultima è un personaggio serio affidato al timbro gradevolmente scuro, morbido e ricco di nuances del mezzosoprano Rosa Bove, che interpreta, con la compostezza scenica richiesta dalla parte ma con apprezzabile partecipazione emotiva e suono sempre omogeneo in tutta la gamma, le arie patetiche previste dalla partitura. Doralice, invece, che seria non è, è raffigurata come una biondona un po’ svampita, una ‘bona’ vistosa, volgarotta e sensuale: eccellente il soprano Francesca Lombardi Mazzulli nella caratterizzazione, per la quale si avvale di uno strumento corposo e risonante e di un fraseggio lodevolmente vario.
È difficile pensare che di una donna dall’aria così volubile e superficiale come Doralice possa essere innamorato il serioso Erminio, che finirà per averla dopo il ritiro dello sciupafemmine Riccardo. Ma sono i misteri della finzione teatrale, che vanno accettati gioiosamente. Erminio è affidato all’illustre controtenore Raffaele Pe, che esprime la propria sofferenza di innamorato respinto non con la mestizia, come la sorella Leonora, ma con le arie di furore, alle quali piega con successo, grazie ad una competenza musicale e stilistica di alto livello, una vocalità elegante forse più adatta alle espressioni liriche e distese. Il gestire esagitato che accompagna la rabbia, poi, corrisponde allo stato emotivo di Erminio ma sembra esagerato, fuori misura.
Il complice di Riccardo nelle sue sregolatezze erotiche, una sorta di Leporello meno complesso e più maschera, è il capitano Rodimarte Bombarda, il classico militare gradasso della commedia dell’arte pronto sempre a dar fuoco alle polveri per poi sparare a salve. Ne è ottimo interprete il basso-baritono Tommaso Barea, grazie ad una vocalità dal bel timbro e robusta, tonitruante a volte, la più adatta a restituire il carattere del personaggio. Rodimarte ama la servetta che, guarda un po’, si chiama Rosina di nome e Caruccia di cognome. Finirà per sposarla, come è ovvio, vincendo senza difficoltà la concorrenza di Flaminio, il classico barbogio dell’opera buffa che concupisce la giovane e finisce per accontentarsi della vecchia. Rosina è il mezzosoprano Giuseppina Bridelli, bravissima per la sciolta, espressiva eppure misurata prestazione scenica e vocale, che ci restituisce una domestica attraente, accattivante, ma mai sopra le righe. Flaminio è caratterizzato in maniera perfetta dal tenore Dave Monaco, che mette la propria sicura e gradevole vocalità di buona tenuta al servizio di un personaggio impagabile, ricco di dignità e di sussiego nonostante la zoppia. Inutile precisare che Flaminio finirà per sposare non la fresca Rosina ma la stagionata Cornelia, a lui già promessa, affidata alla gustosissima ma mai volgare caratterizzazione del tenore Luca Cervoni.
Tutti bravi, anzi bravissimi, quindi, sostenuti dalla concertazione del direttore d’orchestra Enrico Onofri, cui è affidata una partitura la più affidabile e completa possibile dopo la revisione compiuta sul manoscritto originale da Aaron Carpenè. Onofri dirige con la competenza riconosciutagli, evitando al meglio quel rischio di meccanicità sempre presente nei ritmi sostenuti del teatro barocco e allargandosi con ammirevole lirismo ed un emozionante effetto patetico nei momenti di ripiegamento intimistico.
Adolfo Andrighetti
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