Fra Feltre ed Auronzo per ricordare Dino Buzzati
Un piccolo gioiello questo primo romanzo di Dino Buzzati, da cui è tratto il testo dello spettacolo, dove la struttura narrativa ben si adatta all’arido paesaggio montano dove la vicenda si inserisce e dove la mente dell’uomo, con le sue attese e le sue malinconie, che variano con il mutare delle età, sono indagate ed esternate dai gesti e dai pensieri di un protagonista con cui non è difficile identificarsi.
La storia di Barnabo si svolge in un’ambientazione straordinaria, tra i boschi, in un paesaggio di montagna, splendido e incontaminato… grandi solitudini, lunghi silenzi e pochi amici…. e lui, Barnabo, rimasto a guardia di una (inutile) polveriera, che mette alla prova il suo coraggio, riconosce la paura nell’affrontare i briganti, prova pietà per loro nel momento in cui potrebbe ucciderli… perché gli anni sono passati per tutti e, da vecchi, non suscitano il timore di una volta.
«Adesso Barnabo vede le montagne. Non assomigliano veramente a torri, non a castelli né a chiese in rovina, ma solo a se stesse,
così come sono, con le frane bianche, le fessure, le cenge ghiaiose, gli spigoli senza fine a strapiombo piegati fuori nel vuoto.»
Sul palco le parole denudano l’opera di Buzzati per capirne il senso più profondo, quella metafisica della montagna che, una volta enunciata, lo seguì in ogni suo scritto. Ecco allora che la montagna va in scena, e con lei l’uomo, così come lo descriveva Dino Buzzati. Un uomo a cui non è dato vivere appieno, un uomo che può vivere veramente solo nel momento in cui raggiunge la vetta, luogo in cui trovare quell’equilibrio che manca nel terra della quotidianità. Scrivere e raccontare Dino Buzzati è allora scalare il suo primo romanzo. Segnare una via, appigli che guideranno lo spettatore in un mondo favoloso, irto, segnato da burroni vertiginosi e vette appuntite.
Cima Alta, Croda dei Marden, Cima della Polveriera… è proprio da uno schizzo di mappa di montagne che ha inizio la prima avventura di Dino Buzzati con la scrittura. Ed è su queste montagne che Sandro Buzzatti e Assemblea Teatro hanno pensato di intraprendere una scalata in omaggio ai cent’anni dalla nascita dello scrittore bellunese. Dalla penna di Gianni Bissaca e di Remo Rostagno, è nata poi la riduzione dell’opera di Buzzati, scritta nei ritagli di tempo tra un articolo e l’altro al “Corriere della Sera”. Ed è proprio la montagna la cornice della vita di Bàrnabo, una vita che è attesa, attesa di qualcosa che potrebbe non arrivare mai. L’attesa si fa sentimento, sentimento che Bàrnabo prova nelle lunghe giornate passate a spiare il sorgere del sole tra le montagne.
“Resta una lunga macchia sul muro, dove lo schioppo era appoggiato…
Pare ieri, eppure adagio adagio la macchia sul muro si è formata.
È proprio così che passa il tempo”.
Ecco che allora protagonista è Bàrnabo, ma è anche un senso del tempo che attanaglia l’uomo, lo costringe a misurarsi continuamente con qualcosa che dovrà avvenire. E la montagna si colora favolosamente di tinte forti, trasfigura con la sua forma la vita umana, ne segna, per così dire, la manchevolezza. È solo alla sommità che l’uomo può davvero vivere a fondo, può davvero scorgere cosa c’è oltre. Al basso, l’uomo non fa altro che attendere che la vita accada.
“Vedere le mie commedie mi creava un disagio terribile, non so spiegare perché, sentire recitare quello che ho scritto, anche se recitato da sommi attori,
io ho la sensazione come se mi denudassero per la strada; un senso di quasi vergogna”
“Sulle montagne c’è prima la solitudine, poi l’immobilità, che si ritrova nei deserti. L’immobilità rappresenta un estremo stato di quiete. Poiché l’uomo, istintivamente, tende ad uno stato di massima quiete. Egli si affanna tutta la vita per arricchirsi, per farsi una casa, per farsi una posizione e poi riposare e raggiungere una quiete assoluta. In un certo senso l’uomo, istintivamente, tende alla morte. Nell’uomo c’è quasi il desiderio di immedesimarsi con la montagna, di possederla questa cosa qui, di aderire e di imitarla… Coloro i quali sono morti in montagna hanno veramente obbedito a quello che le montagne volevano. Vale a dire: questa quiete assoluta”
Dino Buzzati
Per la compagnia Assemblea Teatro di Torino si tratta di un ritorno tra le montagne di Buzzati, una seconda opera tradotta in spettacolo e portata sul palco, dopo la produzione de Il deserto dei Tartari. Per raccontare ancora una volta l’uomo secondo Dino Buzzati…
Lo spettacolo, che ha debuttato in prima nazionale al Teatro Comunale di Belluno l’8 dicembre 2006, nasce da un progetto teatrale di Sandro Buzzatti, anche interprete in scena con Andrea Collavino, drammaturgia e sceneggiatura di Remo Rostagno, regia di Gianni Bissaca, scene Catherine Chanoux, disegno luci Alessandro Scarpa, ricerca musicale Diego Pellegrini, elaborazione musicale Bruno Pochettino.
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