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Panniccelli caldi per l’opera italiana

31/03/2006
Quando si vede che, attorno ad un malato, si affannano molti medici ma nessuno di questi sembra capace di trovare la cura adeguata, verrebbe voglia di buttare tutto all’aria, di spazzare il comodino di farmaci e flaconi, di cacciare tutti fuori della porta. E si sbaglierebbe, perché si abbandonerebbe a se stesso il paziente, privandolo dell’ultima, per quanto remota, possibilit di guarigione. E perché i medici, anche se non sembrano più all’altezza, fanno comunque del loro meglio secondo scienza e coscienza.

Una situazione analoga si verifica nei confronti del nostro teatro d’opera, che è ammalato a causa di difficolt finanziarie (o forse le difficolt finanziarie hanno evidenziato la malattia?), cui si cerca di porre rimedio con interventi che appaiono inadeguati, che non affrontano il problema alla radice. Eppure bisogna avere pazienza, attendere e sperare: qualcosa di buono potr forse venire anche da qualcuna di queste discutibili terapie, l’ultima delle quali è rappresentata dal Decreto del Ministro per i beni e le attivit culturali del 28 febbraio 2006.

La disposizione più significativa del Decreto è quella che prevede, con orribile neologismo che ricavo dal Sole 24 Ore e che riporto esclusivamente per additarlo al pubblico ludibrio, il “cachettario” degli artisti impegnati nella lirica, nella danza e nella concertistica. Vengono fissate quattro fasce di merito in ordine decrescente dalla A alla D in base alle capacit professionali e, per ciascuna, un tetto massimo ed uno minimo di retribuzione, onnicomprensivi di tutte le spese. Nella lirica, che qui ci interessa, si parte da un massimo di 21 mila euro per un direttore d’orchestra e di 17 mila per un cantante, con la possibilit di un incremento del 20% per le grandi star internazionali.

Il provvedimento serve a poco per affrontare il problema della funzionalit e dell’efficienza amministrativa dei nostri teatri lirici, che hanno bisogno di decisioni che ne incrementino la produttivit e ne riducano i costi attraverso una razionalizzazione delle gestioni, incentivando sul piano finanziario quelle più virtuose ed efficaci. In questa logica, il contenimento dei compensi degli artisti può rappresentare un gesto dimostrativo nel senso della seriet e della trasparenza, ma, in pratica, è un pannicello caldo, che risolve poco o nulla sul piano dei costi. Appropriato, quindi, sembra il commento di Walter Vergnano, presidente dell’ANFOLS, l’Associazione dei sovrintendenti lirici, che parla di regole che vanno bene se fanno parte di un progetto, mentre così sono inutili.

Qualche dubbio può sorgere anche sulla utilit delle Tabelle di regolamentazione dei compensi, come le chiama il Decreto, e non solo per ragioni di principio e cioè perché tendono a burocratizzare ciò che, per definizione, sfugge ad una classificazione rigida e formale, vale a dire la capacit professionale degli artisti. Ma anche per il ruolo attribuito al Comitato tecnico di valutazione, un organismo con funzioni consultive istituito presso il Dipartimento per lo spettacolo e lo sport del Ministero per i beni e le attivit culturali, presieduto dal direttore generale dello stesso Dipartimento e composto da due sovrintendenti designati dall’ANFOLS, tre esperti scelti dalle altre istituzioni musicali e un altro indicato dal direttore generale gi citato. Il Comitato è chiamato ad esprimersi non solo sull’aggiornamento delle Tabelle, ma anche sulla corrispondenza dei contratti sottoscritti dagli artisti con le classi di esperienza e di valore previste dalle Tabelle stesse. E’ impossibile non notare, infatti, che il Comitato d l’impressione di essere stato pensato esclusivamente in funzione delle esigenze delle sovrintendenze: da un lato, fra i suoi componenti non è contemplata una rappresentanza degli artisti; dall’altro, non è prevista esplicitamente la possibilit che questi ultimi, in caso di controversia con i teatri, possano ricorrere al suo arbitrato. Il Decreto, infatti, stabilisce che il Comitato si attiva “anche su richiesta dei sovrintendenti o dei rappresentanti legali degli enti o delle istituzioni finanziate dallo Stato”: dove quell’”anche” può lasciare aperta la possibilit di ricorsi avanzati da soggetti diversi rispetto a quelli indicati (e penso ovviamente agli artisti), ma potrebbe significare, diversamente, che la possibilit di richiesta da parte delle rappresentanze dei datori di lavoro è l’unica che si aggiunge a quella di cui è titolare il direttore generale dello spettacolo dal vivo, di cui il Comitato è consulente.

E’ buona norma valutare un provvedimento solo dopo che la sua funzionalit sia stata testata abbastanza a lungo per consentire di esprimere un giudizio serio e fondato. Quindi per il momento mi fermo a questo punto, anche se non prima di avere ammesso che, dalla lettura del Decreto, rimane comunque quel senso di delusione e di scoramento che prende sempre quando ad un malato cui si vuole molto bene vengono somministrate cure insufficienti.



Adolfo Andrighetti



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