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Asterisco Informazioni di Fabrizio Stelluto

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Privatizzare la RAI: si o no?

26/03/2007
Da molto tempo si parla della privatizzazione della RAI, argomento più che mai attuale in vista della riforma di cui si sta occupando il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, Ma prima di fare un passo del genere è necessario chiedersi, innanzitutto, se è possibile e, comunque, se è davvero questa la strada giusta da seguire. Se ne è discusso in un interessante dibattito, dal titolo “Al servizio del pubblico? Le prospettive di riforma della Rai”, di scena a Perugia, in occasione del 1° Festival Internazionale del Giornalismo.

“Il documento di Gentiloni, di cui condivido le linee guida, segna un’inversione di tendenza rispetto al periodo in cui sembrava che la privatizzazione fosse la panacea di tutti i mali del servizio pubblico” ha detto Enrico Manca, presidente dell’ISIMM - Istituto per lo Studio dell’Innovazione nei Media e per la Multimedialità - ed ex presidente della Rai.” Dopo la seconda guerra mondiale” ha proseguito “la Rai ha avuto un ruolo decisivo nel promuovere l’uso omogeneo della lingua italiana.” Questo è stato decine di anni fa, ma adesso la televisione è cambiata e gli spettatori, spesso nauseati dai programmi – trash, chiedono a gran voce che si dia più spazio ai programmi culturali. “La cultura non va ghettizzata, la programmazione non deve essere di nicchia, ma bisogna invece ricercare gli alti ascolti nel rispetto della qualità” ha precisato Manca, per il quale la mossa vincente è questa:” Va perseguito un modello europeo, rispetto a quello americano in cui tutto è privatizzato. Vanno accentuate le differenze tra servizio pubblico e tv commerciale, nel senso di una crescita nella qualità da parte del primo. Ciò non toglie che certi programmi di intrattenimento svolgano funzione di servizio pubblico.” Ma per fare questo è necessario, secondo Manca, adottare una gestione di un certo tipo. “Si deve partire da un elemento essenziale: la separazione dell’indirizzo strategico dalla gestione. Va creata una fondazione di proprietà pubblica che dia gli indirizzi di tipo strategico, mentre una gestione a parte si occuperebbe dei programmi.” E poi c’è l’annoso problema delle risorse. “Bisogna operare una distinzione tra programmi finanziati dal canone e dalla pubblicità. Si va verso diverse società, una finanziata solo dal canone (che va aumentato), una commerciale finanziata solo dalla pubblicità (oggi la quantità è eccessiva, bisogna andare verso il livello europeo), più altre società come quelle attuali, riunite in una holding.”

Sulla gestione separata si è detto d’accordo anche Franco Iseppi, presidente di Rai Click ed ex direttore generale della Rai. “ Bisogna cercare di salvaguardare l’unitarietà del servizio pubblico, pur separando nettamente la funzione di produttore di contenuti da quella di diffusore degli stessi. Bisogna porre le premesse perché questa impresa sia autonoma ed indipendente.” Cosa non facile, perché, come ha evidenziato lo stesso Iseppi, la gran parte dei servizi pubblici è dipendente dai governi, solo in Italia è condizionato dalla minoranza. Iseppi ha poi fatto un interessante confronto tra le varie realtà dei paesi europei. “In Francia, la convivenza canone-pubblicità funziona, perché non penalizza la funzione di servizio pubblico in un sistema di regole molto rigido sul ruolo dei diversi agenti sul mercato. In Italia, invece, l’esasperata competitività snatura la funzione del servizio pubblico.

Iseppi ha poi evidenziato che pubblico e privato, dal punto di vista culturale, non sono più vissuti come concetti alternativi, aggiungendo che la percezione cambia secondo le culture e i Paesi. “Se il sistema attuale non funziona” ha detto “non è un buon motivo per privatizzare tutto, oggi è culturalmente sostenibile che esista una rete commerciale all’interno del servizio pubblico. Il “rischio” è che questa rete diventi più credibile, perché può contare su risorse maggiori.” Ma, viene da domandarsi, è possibile tradurre tutto questo in realtà? O meglio, in una realtà specifica com’è quella italiana? “Conviene varare questo tipo di modello misto, ma non sappiamo se la Rai sarà in grado di farlo” sostiene Manca. “É un modello vantaggioso perché la Rai può realizzare un nuovo tipo di riconoscibilità, basata sul fatto che si chiarisce la differenza dell’offerta rispetto alla concorrenza. Si tratterebbe di cambiare leggermente una rete di tre che già oggi sono commerciali. Ci sono più vantaggi che svantaggi. Il problema è: questa Rai ex monopolista e ora in regime di duopolio, può reggere l’impatto con il mercato?”

Tornando al confronto con i paesi esteri, sono venute alla luce cose molto interessanti. Innanzitutto, in Europa il dibattito sulle risorse è in evoluzione. Per quanto riguarda i singoli Paesi, in Inghilterra il canone viene confermato o meno ogni dieci anni da un contratto di servizio. La BBC deve dare conto del motivo per cui i cittadini devono continuare a pagare il canone. Sulla base di ciò, ogni 10 anni il servizio pubblico potrebbe passare dalla BBC ad altri. Occorre che la tv realizzi coesione sociale e favorisca il progresso. Altro dato interessante, che non tutti sanno: la BBC non ha finanziamento da pubblicità.

La Francia, invece, se in passato aveva una situazione simile a quella italiana, con il 45% di introiti da pubblicità poi, a seguito della protesta dei cittadini, che non distinguevano la differenza rispetto ai privati, è stato ridotto il quantitativo di pubblicità e gli introiti sono stati compensati da finanziamenti del governo. Mentre in Spagna, fino a fine 2006, il servizio pubblico era finanziato quasi interamente dalla pubblicità. Poi, una recente legge ha ridotto i costi di gestione di tv e radio pubblica, garantendo però un finanziamento statale fino al 60% dell’ammontare complessivo delle risorse. In Germania vige il modello federale, in base al quale le licenze tv sono assegnate dai singoli Laender. Sono stati fissati tetti rigidi alla pubblicità in certe fasce: il prime time non può avere pubblicità, per garantire che in quella fascia il servizio pubblico non sia costretto a mettere solo programmi di grande ascolto ma scarsa qualità.

“Noi apprezziamo la riforma Gentiloni, ma siamo perplessi di fronte alla prospettiva di divisione in società “ha affermato Carlo Verna, segretario nazionale Usigrai, il quale ha anche posto l’accento sulla questione dei controlli. “E’ mai possibile una situazione del genere, in cui siamo controllati da: Garante per la Privacy, Osservatorio di Pavia, Antitrust, Commissione di Vigilanza, magistratura?.” Quanto alla prospettiva di una rete finanziata solo dalla pubblicità, anche lì si è dimostrato scettico. “E’ una privatizzazione ad orologeria che va contro il progetto europeo di centralità del servizio pubblico. Stiamo andando verso un’epoca di multimedialità completamente diversa da quella attuale, il servizio pubblico deve essere elemento regolatore del mercato. Siamo favorevoli a molti aspetti della riforma, ma questa rischia di non passare a causa dell’attuale CdA. Tutti i partiti dovrebbero fare un passo indietro.”

All’incontro ha partecipato anche Luis Rivas, direttore editoriale di Euronews. “E’ importante che le notizie siano date con tempestività, che ci sia un’informazione di qualità, in questo il servizio pubblico può distinguersi. Euronews è proprio un canale di servizio pubblico ed è l’unica tv al mondo che fa lo stesso tg uguale ma in sette lingue diverse. Una delle nostre missioni” ha precisato “è eliminare l’ignoranza degli europei a proposito dei loro vicini. In ogni paese, infatti, una notizia è vista nell’ottica locale, noi invece cerchiamo di spiegare da un punto di vista obiettivo. Anche per questo noi siamo un servizio pubblico. Da un lato teniamo conto di tutte le identità, ma dall’altro cerchiamo di spiegare a un italiano perché in Spagna si fa una certa cosa, e lo stesso facciamo con uno spagnolo per un fatto italiano. E’ possibile” ha concluso “che in futuro la nostra sede si sposti da Lione a Bruxelles, dove ci sono le sedi delle istituzioni europee”.





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