Al festival del Bianco trionfa la Garganega
Oltre 2500 bottiglie provenienti da tutta Italia, coinvolte tutte le regioni della penisola, 150 le aziende italiane presenti, 35 i territori a denominazione rappresentati, 300 i vini selezionati, oltre 100 i vini Soave in assaggio, più di 80 giornalisti accreditati. Questi i numeri della seconda edizione dell’evento dedicato al vino bianco italiano - coordinato dal Consorzio Tutela Vini del Soave - che si conferma quale punto di riferimento per gli appassionati ed un interessante laboratorio per i produttori.
Ogni cantina ha messo in assaggio lo stesso vino prodotto in due annate differenti, con una parata di vini bianchi al top di gamma dell’annata in commercio a maggio, accompagnata dallo stesso vino non più recente dell’annata 2002.
Accanto all’appuntamento “100 bianchi super star d’Italia” in doppio assaggio, si è tenuta la degustazione “Le Stagioni del Soave in 10 Vendemmie”, una inedita verticale per sondare tutte le potenzialità della Garganega. Con “Bollicine Old Fashion” sono invece stati messi in assaggio 10 spumanti classici millesimati in una degustazione pubblica che prevedeva l’annata in commercio e una di almeno 10 anni. Esclusivamente per i giornalisti si è tenuta la degustazione “Formidabili quegli anni”, un momento interamente dedicato ai bianchi dai 10 anni in giù.
Sommelier, ristoratori, produttori ed appassionati si sono così confrontati con almeno due annate dello stesso vino cogliendone l’evoluzione storica e l’identità territoriale a testimonianza del fatto che grazie agli enormi progressi fatti dall’enologia italiana ha senso oggi parlare di vino bianco italiano longevo.
Molti e stimolanti i temi emersi nel corso del talk show dal titolo “Che bianco” durante il quale nomi dell’altra enologia italiana hanno dato il loro contributo e lanciato qualche provocazione.
Evidente l’indiscusso trionfo della Garganega, madre del Soave, quale vitigno d’eccellenza, per la produzione del vino bianco. Auspicato da più parti, da nord a sud, un ritorno alla purezza nella vinificazione, l’esclusione della solforosa, l’abbandono del legno. Sottolineata l’importanza strategia del territorio e dei vitigni autoctoni necessari “per dare un senso al vino italiano”.
L’apertura del convegno è stata affidata ad Alberto Bertelli, medico e farmacologo, ricercatore del dipartimento di Morfologia Umana dell’Università di Milano e vice presidente della Commissione “Vino e salute” dell’OIV, l’Organizzazione Internazionale del Vino. <
Beatrice Contini Bonacossi dell’azienda Tenuta di Capezzana ha invece parlato del suo “Trebbiano Rosa” lasciato in vigna fino alla metà di ottobre, un vino <
Di colore è stato invece l’intervento della giornalista america Jennifer Rosen, esperta di vino, che ha descritto come vengono percepite negli Stati Uniti le produzioni vitivinicole europee. Joseph Reiterer, con la sua cantina metodo classico più alta d’Europa, una sorta di boutique delle bollicine, ha descritto quali sono gli spazi commerciali che aziende di nicchia come la sua possono avere, accanto a colossi spumantistici come quelli trentini.
Enrico Vallania, dell’azienda Vigneto delle Terre Rosse, ha invece spiegato perchè la sua azienda ha sempre evitato di utilizzare il legno fin dagli inizi degli anni ’70, mentre Filippo Felluga, ha esaltato il fatto che in Friuli <
Tecnico l’intervento di Sandro Gini, dell’azienda Agricola Gini di Soave, che ha esaltato la capacità della garganega di durare negli anni, se ben vinificata. <
Lorenzo Zonin, è tornato sull’importanza del terroir e sull’adattabilità del vitigno. <
Brillanti gli interventi di Carlo Garofoli, Tommaso Lupi e Francesco Solana nel tracciare l’evoluzione storica che hanno vissuti i bianchi italiani a partire dalla metà degli anni ’70, sia in termini di qualità, sia in termini di presentazione del prodotto al consumatore. Mario Pojer ha concluso infine l’incontro con un importante intervento tecnico.<
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