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Lavoro: banane, rose e gelsomini da 132 mln bimbi schiavi

11/06/2007
Dalle rose alle banane provenienti dall’Equador, dai gelsomini egiziani allo zucchero di canna del Sud America, fino all’olio di palma della Malesia usato come biocarburante “pulito” nei Paesi più sviluppati, sono alcuni dei prodotti ottenuti dallo sfruttamento del lavoro minorile in agricoltura che senza saperlo potrebbero essere acquistati sul mercato. E’ quanto denuncia la Coldiretti sulla base delle informazioni contenute nei documenti divulgati dall’organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) in occasione della giornata mondiale contro il lavoro minorile del 12 giugno dedicata quest’anno all’agricoltura.

Nelle piantagioni di cacao (Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria), di cotone (India e Azerbaijan), di canna da zucchero (Brasile, El Salvador, Uganda), di tea (Sri Lanka, Zimbabwe, Tanzania), di tabacco (Repubblica Dominicana) e di caffe (Guatemala, Honduras) secondo l’OIL - riferisce la Coldiretti - sono 132 milioni di minori di 15 anni che nel mondo lavorano nei campi esposti ai pericoli che derivano dalla fatica e dall’utilizzo di macchinari pesanti, maceti, scuri e che rappresentano il 70 per cento del totale dei bambini sfruttati sul lavoro.

Nell’ambito delle numerose iniziative messe in atto per fermare una situazione intollerabile è necessario intervenire - sottolinea la Coldiretti - con l’introduzione dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei prodotti agricoli ed alimentari commercializzati a sostegno di un vero commercio equo e solidale che valorizza i prodotti di quei territori che si impegnano a tutelare il lavoro ma anche a rispettare l’ambiente e la sicurezza alimentare. Si tratta - precisa la Coldiretti - di una risposta democratica al bisogno di ogni popolo, che si impegna nel rispetto dei diritti e nella salvaguardia delle proprie specificità, di far riconoscere sui mercati internazionali i propri prodotti locali valorizzando il territorio.

Secondo il sondaggio effettuato dal sito www.coldiretti.it è emerso anche che ben il 20 per cento degli italiani chiede all'Unione Europea controlli alle frontiere sul rispetto delle norme socio-ambientali per evitare che i prodotti in vendita vengano ottenuti danneggiando il territorio e sfruttando il lavoro, anche minorile . Si tratta di comportamenti inaccettabili che - sottolinea la Coldiretti - coinvolgono direttamente l'Unione Europea che è il principale importatore mondiale di prodotti agroalimentari e ha il dovere di svolgere un ruolo di leadership nel garantire la sostenibilità del commercio dal punto di vista sanitario, ambientale e sociale.

L'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti è un elemento di trasparenza che consente ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli e dà opportunità economica, dignità e sviluppo ai paesi piu' poveri del mondo che si impegnano contro lo sfruttamento e l'omologazione. A distanza di 50 anni dal trattato di Roma, l'Unione Europea, che ha raggiunto grandi risultati dal punto di vista etico e sociali sul mercato interno, ha ora il dovere - continua la Coldiretti - di impegnarsi per promuovere analoghi processi di sviluppo nei paesi extracomunitari. E per questo - conclude la Coldiretti - occorre accelerare il percorso di trasparenza intrapreso a livello comunitario con l'estensione a tutti i prodotti alimentari dell'obbligo di indicare nelle etichette l'origine della componente agricola impiegata per ridurre i rischi, valorizzare il territorio e assicurare il rispetto di adeguati standard socio ambientali anche nelle produzioni.

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