Bernardo Bertolucci Leone d'Oro del 75°
Nell'ambito del Leone d’Oro del 75° a Bertolucci, saranno inoltre proposti, durante la 64. Mostra, il pressoché invisibile grande documentario La via del petrolio (1966), nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale e dall’ENI, e il capolavoro che Bertolucci presentò nel 1970 alla Mostra, Strategia del ragno, nella nuova versione ora restaurata dalla Cineteca Nazionale.
"Bernardo Bertolucci ha iniziato proprio a Venezia la sua eccezionale carriera oltre 40 anni fa – ha dichiarato il Presidente della Biennale Davide Croff – e siamo orgogliosi che abbia accettato questo riconoscimento unico, legato alla storia della Mostra. Bertolucci è un grande autore italiano, che ha avuto il coraggio di dare alla sua ispirazione personale una dimensione cosmopolita, coniugando le esigenze dell'industria con uno sconfinato amore per il cinema. Per questo egli incarna in modo emblematico aspetti e caratteri dell'identità stessa della Mostra di Venezia, e ne rappresenta pertanto l'ideale Leone d’Oro del 75°".
Presentando al Cda la proposta di un Leone d’Oro del 75°, il Direttore della Mostra Marco Müller l’ha così motivata: "Creatore di mondi e di verità (non semplice riproduttore), Bernardo Bertolucci si è ostinato a farci ritrovare un cinema che fosse di nuovo qualcosa di essenziale per la vita, un bisogno vitale quanto tetto, cibo e vestiti. La sua sfrenata cinefilia non gli ha impedito di affrancarsi presto dai maestri (tra i due poli di Pasolini e Ophuls, riconosciamo molti “amici americani”), trovando una cifra estetica personalissima. Nell’autonomia del “sistema Bertolucci”, eleganza e perfezione stilistica sono al servizio di complessità e intensità espressiva assolutamente straordinarie. Spesso, il suo cinema ci ha raccontato di personaggi in cammino, in movimento (come lui) dentro e fuori di sé. Ha riletto il passato prossimo dell’Italia come chiave per capire il presente, non ha smesso di cercare l’Altro, spingendosi verso esperienze (e culture) lontane dalla nostra. In lui si incarna prepotentemente (quante altre volte in Italia?) la concezione di un cinema che è “resistente” in quanto pensiero utopico popolare in continua ridefinizione. I suoi film sono al tempo stesso dichiarazione d’amore per il cinema e manifesto di utopie future che sappiano rinascere da quelle passate. Nel suo 75° Anniversario, la Mostra aveva dunque bisogno di Bernardo Bertolucci per poter rileggere la propria storia e pensare il proprio futuro".
La filmografia di Bernardo Bertolucci si è subito intrecciata alla Mostra di Venezia. Il regista era al Lido già con il suo esordio, La commare secca (1962), ma l'anno precedente era stato presentato alla Mostra anche Accattone (1961) dell'esordiente Pier Paolo Pasolini, di cui Bertolucci era aiuto regista. In seguito, altre sue importanti opere sono state presentate in anteprima mondiale alla Mostra di Venezia: Partner (1968), Strategia del ragno (1970), La luna (1979) e The Dreamers (2003). Nel 2000 Gianni Amelio ha presentato alla 57. Mostra di Venezia la versione restaurata del documentario dedicato al regista parmigiano, Bertolucci secondo il cinema, girato in 16mm nel 1976, che racconta una giornata lavorativa durante le riprese di Novecento. Nel 1983 Bertolucci è stato presidente della giuria internazionale del concorso della 40. Mostra, che ha assegnato il Leone d’Oro a Prénom Carmen di Jean-Luc Godard.
Bernardo Bertolucci può essere considerato il regista italiano in attività più celebre al mondo, e uno dei più importanti e influenti di tutta la storia del cinema. Con la sua prestigiosa filmografia ha ottenuto premi e consensi nei principali festival e in tutti i paesi. Ha stabilito un primato assoluto per un film europeo aggiudicandosi 9 Oscar con L’Ultimo imperatore (1987), primo ed unico film italiano a riceverlo per la miglior regia. La sua fama internazionale e il suo carisma di indiscusso "Maestro di cinema", punto di riferimento per ogni autore o nouvelle vague, vanno attribuiti allo straordinario percorso creativo libero e personalissimo, che ha maturato in 40 anni di carriera artistica sempre intensa, caratterizzato in maniera inscindibile dalla profonda passione per i contenuti sociali, e dal grande fascino della forma cinematografica, con cui ha dato corpo a indimenticabili viaggi nella memoria di uomini e luoghi. Bertolucci, ha saputo coniugare, più di chiunque altro, lo sperimentalismo degli anni ’60 con i modi di produzione della grande industria cinematografica, e ha saputo, come pochi, narrare eventi di epoche diverse, associando la poesia con la macchina da presa, e assorbire autonomamente l’influenza della psicanalisi, calando nel linguaggio cinematografico il proprio vissuto, attraverso la mediazioni anche di altre forme espressive come la letteratura. Bertolucci è stato capace di scegliersi dei maestri e, insieme, di elaborare un proprio stile, giocando sull’invenzione e sulla ricerca espressiva; e se la presenza della figura paterna è certamente un tema a lui caro, si può dire, con altrettanta sicurezza, che, film dopo film, egli vada continuamente alla ricerca di nuovi padri e maestri, cercando di rappresentare la realtà attraverso il filtro dello sguardo e della lezione dei grandi registi che hanno contribuito alla formazione della sua cultura visiva. Pasolini e Godard, Visconti e Rossellini, costituiscono, a seconda delle tappe e delle trasformazioni delle sua personalità, i punti di riferimento della struttura del suo racconto in termini visivi e narrativi. Non c’è dunque un unico Bertolucci, ma più facce di uno stesso autore, che tenta di rappresentare la propria identità attraverso lo specchio offertogli da opere guida. La sua cinematografia è caratterizzata quindi dalla mutevolezza degli stili e dei modelli narrativi, che permettono di considerare la sua carriera come un viaggio analitico alla ricerca della propria identità, e, allo stesso tempo, un viaggio attraverso il quale egli è riuscito a svolgere, nei suoi singoli film e nell’insieme della sua filmografia, una personale riflessione sul tempo e sulla Storia.
Nell'ambito del Leone d’Oro del 75° a Bernardo Bertolucci, durante la 64. Mostra sarà proposto, oltre all’indimenticabile Strategia del ragno, nella nuova versione ora restaurata dalla Cineteca Nazionale, il documentario meno conosciuto La via del petrolio, nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale e dall’ENI, che il regista realizzò su commissione da parte dell'Eni e in collaborazione con la Rai tra il 1965 e 1966, durante i quattro anni di inattività tra Prima delle rivoluzione (1964) e Partner (1968). Il documentario, diviso in tre episodi (il primo spettacolare, ricco, nettamente documentario; il secondo avventuroso, con citazioni letterarie e rimandi alla storia del cinema; il terzo fantasioso), traccia la storia dell'oro nero, dal lavoro d'estrazione in Persia, al viaggio di una petroliera dal Golfo Persico a Genova, fino al percorso in oleodotto da Genova in Germania. Il primo episodio (Le origini) si concentra sulla terra di origine del petrolio e sulla presenza magica del fuoco. A questi elementi poetici si unisce la riflessione sul cinema come mezzo di riproduzione della realtà. Il secondo episodio (Il viaggio) sorprende specialmente nella parte in cui si fa il parallelo tra il viaggio della petroliera e i film fantastici di George Méliès. Il terzo episodio (Attraverso l'Europa) è il diario di un giornalista, la cronaca di un viaggio anche storico e letterario, esperimento in cui sfumano continuamente l'una nell'altra oggettività - il documentario - e soggettività - il giornalista protagonista-narratore. A proposito de La via del petrolio Bertolucci spiega: “Era un documentario su commissione, ma lo feci cercando di allontanarmi, ogni volta che mi fu possibile, dalle tentazioni e dalle regole del film documentaristico. Ripresi i trivellatori come pionieri di un western arcaico e i piloti degli elicotteri come eroi anarchici e individualisti, come i personaggi solitari di Godard o di Avventurieri dell’aria”. Durante le riprese della seconda parte del film Bertolucci realizzò un cortometraggio in 35mm di 12 minuti dedicato al Canale di Suez, intitolato Il canale. Da notare infine che il regista non ha mai lavorato davvero nel settore documentaristico; dopo La via del petrolio e Il canale ha girato soltanto altri tre film cosiddetti “documentari” – tra cui l’opera corale dedicata alla morte di Pasolini, Il silenzio è complicità (1976).
Note biografiche:
Bernardo Bertolucci (Parma, 1941), figlio del grande poeta Attilio e fratello maggiore del regista Giuseppe, è il cineasta italiano vivente e attivo più famoso al mondo. Maestro riconosciuto di giovani cineasti e celebrato ovunque dalla critica, è stato capace nella sua opera eclettica, sempre in bilico fra poesia e storia, di unire la più profonda e originale ispirazione personale con le dimensioni produttive del grande spettacolo, raggiungendo ed emozionando il pubblico più vasto. La fama internazionale è arrivata con Ultimo tango a Parigi (1972), il film di maggior successo nella storia del cinema italiano con più di 14 milioni di spettatori (compresi quelli della riedizione del 1987), e si è consolidata con i 9 Oscar vinti con L’Ultimo imperatore (1987), primato per un film europeo. Ma si può dire che la sua fama artistica sia cresciuta costantemente in un arco ideale lungo 40 anni, dall’esordio con La commare secca (1962), su soggetto di Pasolini, fino al recente The Dreamers (2003), con opere caratterizzate dall’indagine psicologica intrecciata alla rievocazione storica e sociale, dalla dimensione cosmopolita, dall'articolato fascino stilistico (la luce, la musica, il ballo, il melodramma), dalla riflessione sul cinema e sulla politica.
Nel 1951 si trasferisce con la famiglia a Roma, abitando per un certo periodo nello stesso palazzo in cui abita Pier Paolo Pasolini, e inizialmente sembra seguire la strada paterna, interessandosi di poesia e iscrivendosi alla Facoltà di Letteratura Moderna dell'Università La Sapienza di Roma. Ma ben presto abbandona gli studi per il cinema, una volta conosciuto Pasolini, ai primi passi come sceneggiatore nel mondo della settima arte. Con una camera a passo ridotto Bertolucci gira due cortometraggi amatoriali nel biennio 1957-1958, La teleferica e La morte del maiale. Nel 1961, all’esordio cinematografico con Accattone, Pasolini chiama Bernardo a fargli da aiuto regista e per lui, dice, si tratta di una specie di invenzione del cinema, approccio a un mezzo d’espressione che ama fin da bambino, ma che riscopre adesso attraverso gli occhi d’un poeta. L'anno successivo, dopo aver vinto il Premio Viareggio Opera Prima con il volume di poesie In cerca del mistero, a soli ventuno anni gira e presenta a Venezia, grazie all'interessamento del produttore Tonino Cervi, il suo primo lungometraggio, il realistico La commare secca (1962), proprio su soggetto del poeta friulano, che avrebbe anche dovuto dirigerlo, sceneggiato da Sergio Citti. Pur pasoliniano nei temi e nell’ambientazione in una Roma periferica, La commare secca è già diverso rispetto a quanto intanto va realizzando nel cinema lo scrittore: strutturato – come Rashomon di Kurosawa (1950) – sulla ricostruzione d’un delitto, l’uccisione d’una prostituta, il film ha un andamento lirico e soluzioni narrative che anticipano i futuri film di Bertolucci. Ma è già lontano dallo stile di Pasolini nei film successivi. Con il semi-autobiografico Prima della rivoluzione (1964), Bertolucci impone la sua arte di coniugare lirismo e rigore contemplativo, di filmare l’emozione con distacco, di costringere il teatro di Brecht o l’opera di Verdi ad amare il cinema e di promuovere l’aneddoto autobiografico in un campo delimitato all’interno del territorio dell’astrazione. Il film è presentato alla Semaine de la Critique a Cannes e premiato con il Prix Max Ophuls e il Prix de la Jeune Critique. Quindi l'antirealistico Partner (1968) - presentato a Venezia e ispirato al Sosia di Dostoevskji. Entrambi sono influenzati dalla lezione di Cocteau, di Godard e del Living Theatre, ed entrambi sono esami di coscienza delle esperienze culturali e degli umori esistenziali della contestazione giovanile. Bertolucci si mostra autore già personalissimo, con una raffinata capacità di combinare temi autobiografici e spunti letterari, utili per risolvere l'urgenza, tipica dell'epoca, di gettare uno sguardo lucido e critico nei confronti della società. Da qui in poi i film di Bertolucci avranno quasi sempre come tema principale lo scatenarsi di un evento, in seguito al quale i protagonisti vivono un brusco cambiamento della realtà (che sia intima, ideologica o politica) che li rende quasi incapaci di una reazione concreta. L’amicizia tra Bertolucci e Pasolini non si spegne e i due scambiano idee e commenti nei seguenti quindici anni. Nel 1968, insieme anche a Carlo Lizzani, Jean-Luc Godard e Marco Bellocchio, i due artisti firmano 5 episodi raccolti in un film sperimentale dal titolo Amore e rabbia, inizialmente inserito nel progetto “Vangelo ‘70”, poi sdoganato dall’argomento cristiano e presentato in concorso Festival di Berlino del 1969.
Dopo aver collaborato con Sergio Leone e Dario Argento per il soggetto di C'era una volta il West (1968), Bertolucci raggiunge la piena maturità espressiva e artistica con i due capolavori del 1970, Il conformista, primo successo unanime di pubblico e di critica, e Strategia del ragno, entrambi ispirati a maestri prediletti quali Renoir e Ophuls. Il conformista, tratto dall'omonimo romanzo di Moravia, con un cast d'eccezione composto da Jean-Louis Trintignant, Dominique Sanda, Stefania Sandrelli e Pierre Clementi, narra l'angosciata parabola di una vita (quella di Marcello-Trintignant) e di un'epoca (gli anni '30 del fascismo) sbagliate. Una parabola sociale rivolta all'attualità di allora, ed espressa con una suggestiva successione di flashback e con una sensualità emblematica, che hanno lasciato segni indelebili nel cinema italiano. Ciò grazie anche al gruppo di giovani collaboratori, presto celebri, che affiancano – e affiancheranno in seguito - il ventottenne Bertolucci: il direttore della fotografia Vittorio Storaro, lo scenografo Ferdinando Scarfiotti, il montatore Kim Arcalli. Il film, presentato ai Festival di Berlino e New York, conquista una nomination ai Golden Globes come miglior film straniero e una agli Oscar come miglior sceneggiatura non originale, mentre vince il David di Donatello 1971 come miglior produzione, e la sua edizione integrale restaurata, a cura di Vittorio Storaro, verrà presentata nel 1993 al Festival di Locarno.
Il quasi contemporaneo Strategia del ragno, prodotto dalla Rai, con Giulio Brogi e un'indimenticabile Alida Valli, è ispirato a un racconto di Borges ed è ambientato in un'immaginaria cittadina padana, Tara, con chiaro riferimento cinefilo a Via col vento. Si tratta di un'altra parabola sociale, che è insieme un ammaliante e inquietante viaggio vertiginoso nei fantasmi della memoria e nel rapporto padre-figlio. Qui la Storia è vissuta come un incubo, e i miti (la Resistenza, gli eroi) vengono disvelati nelle loro ambiguità e falsità. Nella carriera di Bertolucci, invece, il film significa il raggiungimento della maturità narrativa, il momento in cui, nell’indagine sulle proprie radici, mette ordine nel suo universo ispirativo, per costruire personaggi forti. Il film, presentato a Venezia, riceve in Francia il Prix Luis Buñuel.
Col successivo Ultimo tango a Parigi (1972), Bertolucci ottiene un ampio riconoscimento internazionale e il film diventa presto un cult-movie, anche a causa delle vicende giudiziarie di cui è protagonista in Italia, condannato nel 1976 dalla Cassazione "al rogo" per oscenità e riabilitato nel 1987. Le copie salvate dalla distruzione vennero depositate alla Cineteca Nazionale di Roma e quelle integrali, conservate in cineteche estere, sono servite come base per editare il film in DVD. Il film, che punta l'attenzione per sulla tematica sessuale a sfondo freudiano già presente ne Il conformista, è un saggio di grande fascino figurativo attorno ad alcuni temi esistenziali (l'amore, la solitudine, la proiezione edipica della ragazza Maria Schneider). La pellicola, la cui fotografia si ispira alla pittura di Francis Bacon, citato nelle immagini dei titoli di testa, vede il personaggio di Marlon Brando protagonista di un nuovo viaggio nella memoria, alla ricerca delle radici psicologiche di una generazione cresciuta senza evolversi, e che si sente irrimediabilmente smarrita. Il film conquista due nomination agli Oscar (miglior regia e miglior attore protagonista, Marlon Brando), due ai Golden Globes (miglior film e regia), Bertolucci vince un Nastro d’Argento per la miglior regia e Maria Schneider un David di Donatello come miglior attrice straniera.
Anche grazie al successo di Ultimo tango a Parigi, Bertolucci può realizzare l'ambizioso progetto in due parti Novecento – atto I e Novecento - atto II (1976), presentato al Festival di Cannes, con un cast internazionale composto da Burt Lancaster, Sterling Hayden, Robert De Niro, Gérard Depardieu, Donald Sutherland, Dominique Sanda, Stefania Sandrelli, Francesca Bertini, e con grandiose scene di massa (12 mila comparse selezionate). Si tratta di un poderoso affresco storico, epico e corale ricco di grandi momenti melodrammatici, che narra la saga emiliana di due famiglie patriarcali contadine (i ricchi proprietari Berlinghieri e i loro mezzadri Dalcò), dai primi del ‘900 alla Liberazione, sullo sfondo degli avvenimenti storici più rilevanti del secolo. Ma anche qui, il palcoscenico della Storia serve ad evidenziare i singoli, ed è messo al servizio dell'indagine psicologica sulla duplicità e sul mimetismo degli individui, sulla loro fragilità di fronte alle responsabilità che il destino riserva ad ognuno.
Con il filo della memoria sono poi entrambi intrecciati La luna (1979), presentato a Venezia (Tomas Milian e Jill Claybourgh, i due attori conquistano uno la nomination ai Golden Globes, l’altro il Nastro d’Argento), teatro di un nuovo conflitto edipico, nonché La tragedia di un uomo ridicolo (1981), con Ugo Tognazzi nel ruolo di un industriale parmense ingannato dall'erede, che nel finale rinuncia alla verità e decide di non sapere. Con questo film, presentato al Festival di Cannes, Tognazzi vince il Grand Prix per la migliore interpretazione maschile.
I tre grandi film successivi, L'ultimo imperatore (The Last Emperor, 1987), Il tè nel deserto (The Sheltering Sky, 1990) e Piccolo Buddha (Little Buddha, 1993) vengono anche definiti "la trilogia dell'altrove" per la dislocazione ambientale esotica, che non tradisce però i temi di fondo del regista. L'ultimo imperatore - prodotto da Gran Bretagna, Italia e Hong Kong - è, al pari di Novecento, un kolossal di taglio epico-edipico, che segue la straordinaria vicenda, insieme storica e psicologica di Pu-yi, un bambino cinese di tre anni che si trova improvvisamente sul trono dell'impero più vasto, e che crescendo non riesce a stare alla pari con la sorte. Il film, girato in esterni in Cina con grande ricchezza visiva e scenografica, rappresenta – rispettandone la complessità – il cambiamento della Cina dall'assolutismo medioevale alla democrazia popolare, registrando in anticipo sui tempi i segnali della recente modernità, ma ripropone anche i temi che appartengono a Bertolucci: la dialettica tra decadenza e rinnovamento, il valore dell’immaginario, il gusto delle bellezza, l’impossibilità dei sentimenti. La pellicola è un successo mondiale e vince ben 9 Oscar, fra cui miglior film, miglior regia e miglior fotografia, e inoltre 4 Golden Globes, fra cui miglior film e miglior sceneggiatura, 8 David di Donatello, 4 Nastri d'argento e il César come miglior film straniero. La fotografia di Vittorio Storaro e le musiche di Ryuichi Sakamoto e David Byrne conquistano rispettivamente un Nastro d’Argento e un Golden Globe.
Altrettanto spettacolari nelle immagini esotiche, girate nei luoghi originari, e complessi nelle tematiche psicologiche sono Il tè nel deserto, tratto da Paul Bowles, sul tragico amore di Port e Kit Moresco (John Malkovich e Debra Winger) in un viaggio turistico-esistenziale in Marocco, nonché Piccolo Buddha, rievocazione a tinte surreali del percorso spirituale del principe Siddharta, con Keanu Reeves e Bridget Fonda. Seguono due piccoli grandi film, girati e ambientati in Italia da un Bertolucci rimpatriato in stato di grazia: Io ballo da sola (1996), in concorso a Cannes, storia dell'iniziazione sessuale, ma anche della maturazione psicologica di una ragazza (Liv Tyler), filtrata attraverso la luce delle magiche colline toscane e la nuova serenità stilistica del regista già presente nel Piccolo Buddha (e che rivedremo in The Dreamers, 2003). Nel 1990 è stato presidente della giuria internazionale del Festival di Cannes che ha assegnato la Palma d’oro a Cuore selvaggio (Wild at Heart) di David Lynch. Nel 1997 riceve il Pardo d'onore del 50mo Festival Internazionale del film di Locarno e il Premio Bianchi assegnato dal Sindacato Giornalisti Cinematografici Italiani. Il successivo L'assedio (1998) è un film affascinante e particolarmente riuscito, il più apprezzato dalla critica negli ultimi anni: una toccante, impossibile storia d'amore tra un pianista - in una casa romana con vista su Trinità dei Monti – e la sua colf africana (l'esordiente Thandie Newton), che rievoca quasi con tenerezza i personaggi borghesi delle prime pellicole (Prima della rivoluzione, Il conformista), che sembravano incapaci per sempre di agire, e a cui invece Bertolucci regala ora, come in un sogno o con un ultimo atto di speranza, la possibilità di intervenire sulla realtà, di districare l'intreccio privato-pubblico. Così il pianista, ad esempio, riesce a far liberare il marito di lei, prigioniero politico nel paese d'origine. Nel 2000, Bertolucci produce e firma la sceneggiatura di Il trionfo dell'amore, diretto da sua moglie Clare Peploe e nel 2001 compare nel film di Laura Betti Pier Paolo Pasolini: La ragione di un sogno per rendere omaggio al suo indimenticabile maestro. Insieme a Claire Denis, Mike Figgis, Jean-Luc Godard, Jiří Menzel, Michael Radford, Volker Schlöndorff, István Szabó, realizza nel 2002 Ten Minutes Older – The Cello, film collettivo composto da cortometraggi della durata di dieci minuti ciascuno, presentato fuori concorso alla 59. Mostra del Cinema. Per il suo episodio, Histoire d'eau (girato al Circeo), Bertolucci si ispira ad un'antica parabola indiana, narrata da Adriana Asti in Prima della rivoluzione, e poi raccontata al regista anche da Elsa Morante. Nel film la tematica del tempo si mescola con quella dell'integrazione e dell'incontro tra culture. Personaggi quasi da sogno, in bilico fra ricordo autobiografico e citazione cinematografica, sono anche i ragazzi (con i “figli d’arte” Eva Green e Louis Garrel) protagonisti di The Dreamers (2003), appassionati cinefili alla Cinématheque di Parigi come il regista da giovane. Qui Bertolucci offre una personale, emozionante rivisitazione dei temi e delle situazioni legate alla sua gioventù, e presenta un catalogo - più esplicito che mai - dei propri miti cinematografici attraverso un nuovo, seducente e ormai sereno viaggio nella memoria. Il film è stato presentato alla Mostra di Venezia con particolare successo fra il pubblico giovane e giovanissimo, con repliche notturne a grande richiesta.
Nel 2006 la Biennale di Venezia ha presentato una grande mostra sui costumi originali realizzati per L’ultimo imperatore. La mostra, a cura di Giulia Mafai, storica costumista e scenografa, allestita nel febbraio 2006 negli spettacolari spazi dell’Arsenale in occasione del Carnevale del Teatro diretto da Maurizio Scaparro, ha voluto dedicare un importante omaggio a questo kolossal di rara bellezza, che ha saputo unire la biografia paradigmatica di un essere umano, alla nascita della nuova nazione cinese nel XX secolo.
Bertolucci sta attualmente lavorando ad un progetto che aveva lasciato 8-9 anni fa dedicato a Gesualdo da Venosa, nobile musicista di origini napoletane della fine del '500, riscoperto da Stravinskij. Il film racconterà la turbolenta vita del compositore italiano, passato alla storia anche per la barbara uccisione della moglie Maria d'Avalos, colta in flagrante insieme all'amante, Duca il D'Adria Fabrizio Carafa. Il progetto dovrebbe essere girato in inglese e fare consistente affidamento sulla componente musicale.
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