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Falde acquifere del veneziano: uno sfruttamento progressivo

04/07/2007
Qual è lo stato di salute del sistema freatico veneziano? I prelievi d’acqua ad uso agricolo, acquedottistico, industriale e domestico, che conseguenze hanno sulla risorsa idrica del sottosuolo? Pur mancando uno studio aggiornato in merito, la tendenza registrata è di una progressivo abbassamento dei livelli di falda e di un inquinamento sempre più visibile in quelle di superficie.

In particolare, è nell’area del miranese fino a Scorzè, dove infatti si concentra il maggior numero di pozzi della provincia (oltre mille e per lo più privati), che le falde hanno subito una sensibile diminuzione sia in termini di pescaggio che di portata d’acqua, tant’è che se una decina d’anni fa un agricoltore trovava acqua scavando un metro e mezzo, oggi deve scendere almeno a tre.

“L’abbassamento di un metro nelle zone risorgive, che nel veneziano sono soltanto due, è molto più grave di una riduzione di sette o otto metri nella fascia pedemontana – spiega Pietro Zangheri, geologo, che ha curato per l’Amministrazione Provinciale e per AATO Laguna di Venezia, l’autorità che pianifica il sistema idrico integrato, più di un’indagine sulle falde acquifere – Il fenomeno è da addebitare all’aumento dei prelievi che nel comune di Scorzè sono effettuati dall’Acquedotto del Mirese, che serve diciassette paesi, dalla azienda San Benedetto, da Vesta S.p.a. e dalle singole abitazioni”.

Rispetto alla quantità d’acqua prelevata, al primo posto “ex equo” si collocano i prelievi da pozzi privati (40%) e quelli effettuati dall’Acquedotto del Mirese (39%); soltanto un 21% riguarda invece le acque minerali della San Benedetto.

“Nei soli comuni di Scorzè, Martellago, Noale e Salzano si contano mille pozzi privati con una portata complessiva di 560 litri al secondo, pari a quella necessaria ad alimentare un acquedotto che serve oltre 150.000 persone. Molto spesso questi pozzi sono ad erogazione spontanea, che contribuiscono ad uno spreco d’acqua sotterranea di ottima qualità”. Anche il mondo agricolo, in particolare quello rappresentato dall’organizzazione di categoria Coldiretti, ritiene le fontane private, numerose soprattutto nel noalese, un esempio dello scorretto uso della risorsa idrica che viene utilizzata per mere velleità estetiche.

A corollario della già non ottimale salute delle falde nel veneziano riscontrabile in termini di altezza, si pone la questione dell’inquinamento che va ad inficiare la qualità delle acque e che è visibile, in modo cospicuo, nelle falde di superficie. “L’acqua è troppo ricca di sali minerali, di metalli pesanti ed in alcune aree di Spinea, qualcuno ha già fatto i conti con la risalita del cuneo salino” fa sapere Gabriele Zampieri, responsabile della zona del miranese per Coldiretti. E le cause dell’inquinamento quali sono?

“Dobbiamo andare a ritroso nel tempo, anche se le conseguenze si vedono oggi – prosegue Zampieri – Le cause sono principalmente due: la discarica di via Luneo a Spinea, dove una ventina d’anni fa era lecito disfarsi di sostanze che provenivano anche dalla zona industriale di Porto Marghera, e la mancanza di un sistema fognario a Scorzè”. L’adeguamento delle fognature è infatti avvenuto di recente, soltanto poco più di un paio d’anni fa il 70% delle abitazioni ricadenti nel comune di Scorzè era privo degli allacciamenti, tant’è che era abitudine scaricare direttamente sui fossi o su depuratori di vecchia data.

Per la fortuna degli agricoltori, che in quella zona coltivano per lo più radicchio e seminativi, i prelievi ad uso irriguo non si fanno sulle falde di superficie ma a trecento metri di profondità, dove la qualità dell’acqua è decisamente migliore e mantiene, per tutto l’anno, una temperatura di diciotto gradi centigradi. Meno ottimale è invece, l’acqua che si pesca nei comuni più a sud, vale a dire Salzano, Mirano e Santa Maria di Sala, che trovandosi soltanto a centoquaranta metri di profondità, risente maggiormente delle sostanze inquinanti presenti in superficie.





Francesca Delle Vedove



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