Venezia: andar a ombre
24/11/2007
La leggenda vuole che in tempi lontani il vino fosse venduto in piazza S. Marco da venditori ambulanti. Questi erano soliti seguire l'ombra del Campanile, affinché il vino rimanesse fresco. Un'etimologia forse meno suggestiva, ma più reale, ci indica nell'ombra una quantità ridotta. La quantità di vino contenuta in un'ombra è di circa 100 ml, anche meno, se si chiede un'ombretta. Il termine "bacaro", invece, si fa risalire ad una esclamazione di un gondoliere che un giorno, assaggiando un nuovo vino venuto dal Sud Italia, esclamò: “Bon, bon! Questo xe proprio un vin de bàcaro”. L'espressione veneziana "far bàcara" equivale a far baldoria, mangiare e bere in buona compagnia: quindi un "vin de bàcaro" non può essere che un vino adatto a questo scopo. Secondo questa leggenda, riportata da Elio Zorzi nel suo libro "Osterie Veneziane del 1928, il gondoliere avrebbe coniato un nuovo termine, che divenne sinonimo del vino pugliese e dei suoi spacci, che pian piano vennero aperti in tutta la città. Il bacaro divenne il punto d'incontro preferito di tutti i veneziani, e bere un'ombra un rito sociale, una dichiarazione di amicizia e solidarietà che si rinnova di giorno in giorno, di ora in ora. Per chi viene da fuori, quindi, una visita ai bàcari può rappresentare la vera chiave per capire la dimensione diversa di una città dove la fretta non esiste, dove i ritmi sono quelli delle cantilenanti cadenze della lingua veneziana, dei passi che rimbombano lenti nelle calli nascoste. Una città dove non serve darsi appuntamento perché si incontrano più volte al giorno le stesse persone, con una casualità che ha le leggi della predestinazione, dove l'uscire di casa non è altro che la voglia di ritrovarsi in un ambiente per nulla estraneo e con persone familiari.
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