La dolcezza del carcere
26/11/2007
Per chi non è mai entrato in un carcere, attraversare quei corridoi e passare attraverso tutte quelle porte blindate, dove i carcerati ti sfiorano e dove la Polizia penitenziaria la senti più che vederla è una esperienza, oltre che interessante anche impressionante. La cosa che più colpisce in prigione è quel senso di precarietà che ti senti addosso e quella voglia di accelerare i tuoi passi, che invece sono scanditi lentamente da chi ti accompagna. Nel nostro caso un gentile direttore che aveva più l’aria di un semplice funzionario dello Stato che non quella dell’immaginario collettivo di chi ha visto tanti films di ambiente carcerario. Ma anche il Commissario, il capo della Polizia penitenziaria del carcere di Padova, è apparso ai nostri occhi di visitatori, una persona di buon senso e dotata di quella singolare dote di farti sentire a tuo agio in qualsiasi settore stessimo visitando. Ma entriamo nel nostro dovere di cronisti dicendo che è tutto merito dell’Argav – Associazione Regionale dei Giornalisti Agro-ambientali del Veneto - e del suo presidente Mimmo Vita se questa visita desiderata da tanto tempo si è potuta effettuare. Un visita di una paio d’ore nel carcere penitenziario padovano – dove si scontano le pene - è una esperienza indimenticabile, come indimenticabile è la sensazione di estrema pulizia e il profumo di ottima pasticceria che ci ha colpiti appena varcato l’ingresso del settore dove si producono tutta una serie infinita di paste e pasticcini e soprattutto in questo periodo di fragranti panettoni. Non mancano nelle opportune stagioni, tra i dolci fabbricati in carcere, le colombe e le “veneziane”. Insomma una pasticceria, quella del carcere di Padova, che si è ampiamente meritata il “Piatto d’argento” conferitole dall’Accademia italiana della Cucina. Ma in carcere non si producono solo pasticcini e panettoni, e naturalmente tutto il vitto per i detenuti, che al momento sono circa 500. Abbiamo visto molti detenuti che lavoravano seriamente e coscienziosamente alla fabbricazione di valigie per la Roncato, manichini per l’alta moda e oreficeria e bigiotteria per la Morellato. Ma in carcere abbiamo visto anche un attrezzato call-center computerizzato con 10 operatori che è attivo 24 ore su 24 per smistare le chiamate ai numeri verdi degli Ospedali padovani. Dobbiamo anche riferire che chi segue giornalmente il lavoro dei detenuti nel carcere di Padova e li organizza all’esterno è il Consorzio Sociale Rebus , diretto da Nicola Boscoletto, che tra l’altro ci ha accompagnato in tutto il percorso carcerario. Il lavoro in carcere è determinante, - ci dice Boscoletto – per il recupero sociale dei carcerati e soprattutto è indispensabile per il loro reinserimento nella società civile. Ma altrettanto interessanti ci sono sembrate le parole di Salvatore Pirruccio, direttore del Due Palazzi, che ha detto che solo il 10% dei carcerati riesce a reinserirsi nel tessuto sociale una volta recuperata la libertà. E tra coloro che si reinseriscono- dice il direttore – il 90% ha lavorato in modo continuativo durante la detenzione. C’è da dire che il merito di questo recupero alla vita di chi ha commesso un reato è dovuto anche alla ostinata volontà della direzione carceraria, nel nostro caso alludiamo allo staff del carcere padovano, di redimere i detenuti e di insistere sul loro affidamento al lavoro tramite le cooperative sociali che svolgono anche l’importante azione di accompagnare gli ex detenuti all’avviamento al lavoro a partire dalla semilibertà fino alla completa liberazione. E questa ci appare come una delle tante strade da seguire per una buona amministrazione della giustizia.
Gianni Genghini, giornalista Argav (Assoc. Region. Giornal.Agro-ambientali Veneto) per il Corriere del Veneto
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