"Tutti i colori del Bianco"
Sommelier, ristoratori, produttori ed assaggiatori appassionati si sono così confrontati con almeno due annate dello steso vino cogliendone l’evoluzione storica e l’identità territoriale.
Con questi risultati la manifestazione di Monteforte si è rivelata oltre ogni previsione una vera convention del vino bianco italiano. Un’occasione unica per testare concretamente i sensibili progressi compiuti dai produttori italiani attraverso un’ideale verticale da capogiro lunga oltre 40 anni.
La riflessione
Parlare di bianco italiano oggi, oltre che citare vitigni assolutamente originali e territori ad altissima vocazione, da Soave a Pantelleria, significa parlare di un vino che ha saputo evolversi senza perdere le indiscusse peculiarità che lo identificano conquistando spazi sempre più consistenti sia sul mercato interno sia soprattutto all’estero.
Originale l’apertura dei lavori con una riflessione in cui produttori, ricercatori, giornalisti si sono confrontati su temi attuali legati al mondo del vino: dall’andamento dei consumi, all’uso del legno, dalla cura del vigneto alla tecnica di cantina, dal ruolo degli autoctoni nell’enologia italiana, all’importanza della corretta comunicazione ed informazione da parte degli stessi produttori, dei giornalisti e degli enotecari.
Di grande rilievo gli interventi di Carlo Casavecchia, direttore generale di Case Vinicole Sicilia, testimone ed artefice dei tanti progressi fatti dai vini siciliani negli ultimi anni e di Franco Giacosa, super enologo della Zonin che ha parlato degli effetti che un lungo affinamento ha sulle componenti organolettiche dei vini bianchi.
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Animato il dibattito attorno ad alcuni grandi temi con al centro il passato e il futuro del vino bianco italiano: <
Molto interessante il confronto sull’uso del legno in affinamento. No al legno per il Verdicchio, dice Alberto Mazzoni, direttore del consorzio che controlla le doc marchigiane mentre un utilizzo razionale della barrique è stato sostenuto dall’enologo Marco Tebaldi, secondo il quale <
Sul fronte della ricerca Paolo Sivilotti del CRA di Conegliano ha illustrato gli importanti risultati dell’indagine progettata dal consorzio del Soave sul diverso corredo aromatico di vini provenienti da differenti cru, mentre Davide Ferrarese ha evidenziato la diversa vocazione alla longevità di ogni singolo clone.
Altri importanti contributi territoriali sono arrivati da Gaspare Buscemi, produttore e appassionato e da Paolo Bianchi, direttore del Consorzio del Collio, che ha illustrato i progressi di questa zona in tema di longevità. Dall’Alto Adige poi Rudi Kofler ha aperto un’ideale porta di confronto con gli altri grandi bianchi del Nord Europa.
Tema molto caro anche ai giornalisti Angelo Peretti e Fabrizio Penna, entrambi testimoni di come il rispetto dell’identità territoriale sia il segreto per avere bianchi sempre giovani.
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E’ emerso nel complesso un nuovo ritratto del bere bianco italiano: un vino che non si definisce più semplicemente di pronta beva. E’ l’ora dei bianchi di carattere, longevi, dal colore intenso, dal gusto morbido e vellutato. Cambiano i trend dei consumi e ai vini rossi di carattere si preferisce un vino pur sempre di carattere ma bianco. A questo proposito suonano profetiche le parole di Claudio Burato, del ristorante Babajaga, secondo il quale << l’età del vino a tavola non conta, tant’è vero che un Soave importante, invecchiato di qualche anno, sostiene tranquillamente non solo carni bianche, ma anche carni rosate a cottura leggera>>.
Una tendenza che esprime ancora una volta la maturità dei consumatori che vogliono saperne sempre di più. <
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