Ma il “forfettone” è vera semplificazione?
Siamo in attesa della conferma finale che dovrebbe essere contenuta nel supplemento di istruzioni che l’amministrazione finanziaria si appresta ad emanare a seguito dei molti punti oscuri che stanno emergendo alla prova dell’operatività del nuovo regime, ma la notizia viene confermata verbalmente dallo stesso Ministro delle Finanze.
“Alla luce di questa novità –annuncia Vendemiano Sartor presidente regionale di Confartigianato- da stime molto attendibili, provenienti dagli uffici fiscali delle oltre 140 nostre sedi distribuite su tutto il territorio regionale, le imprese artigiane che potranno concretamente aderire al nuovo regime che sostituisce Irpef, Irap e Iva con un’imposta del 20% sul reddito, non supereranno il 10% del totale. Ciò significa poco più di 14mila aziende su oltre 147.000!. Una ulteriore dimostrazione di come il predominio della burocrazia possa annullare le buone intenzioni della politica ed un segnale inequivocabile del bisogno che c’è in Italia di riformare la pubblica amministrazione oggi più che mai lontana dalle esigenze delle imprese.”
Il nuovo regime fiscale semplificato, entrato in vigore il 1 gennaio di quest’anno e dedicato alle persone fisiche che esercitano attività di impresa, arti o professioni, non in maniera associata, può essere infatti utilizzato solo da chi nel 2007 ha conseguito ricavi, o percepito compensi, inferiori a 30.000 euro lordi, non ha effettuato cessioni per le esportazioni, non ha sostenuto spese per lavoro dipendente e soprattutto non deve aver effettuato, nel triennio 2005-2007, acquisti di beni strumentali per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro, tenendo conto anche dei beni acquisiti mediante contratti di appalto o di locazione, compresa quella finanziaria.
“E proprio qui sta l’inghippo che rischia di vanificare l’impatto del nuovo strumento –commenta Sartor- In questo ultimo conteggio infatti rientrano anche i canoni di affitto dei locali destinati alle attività, condizione questa in cui si trovano gran parte delle migliaia di nostre botteghe situate nei centri storici e che raramente hanno un locale di proprietà. Basta quindi dover pagare una pigione di poco superiore ai 400 euro mensili per perdere i requisiti di adesione al forfettone”.
“Si preannuncia un ricorso deludente –prosegue Sartor- e molto al di sotto delle prime stime fatte dallo stesso Governo al momento della approvazione, che ricordo si attestava vicino ad un 35% delle nostre aziende. La delusione è proporzionale alle attese. Da una nostra stima sugli effetti del peso degli adempimenti amministrativi sul sistema imprenditoriale risulta infatti che un sistema a ‘burocrazia zero’ consentirebbe alle micro imprese di incrementare la produttività del 5,8%! Il regime forfettario è certamente un importante e concreto passo in questa direzione, peccato quindi siano stati introdotti troppi vincoli”.
Infine, se da una parte il regime dei ‘minimi’ permette di tagliare molti adempimenti, dall’altra prevede una serie di valutazioni e di verifiche che sconsigliano al piccolo imprenditore di fare a meno dell’assistenza del fiscalista. Quest’ultimo dovrà valutare, infatti, la possibilità di entrata nel regime, regolare eventuali partite pregresse in ambito Iva o imposte sui redditi, verificare la presenza dei requisiti per la permanenza nel regime e far fronte agli adempimenti relativi all’eventuale uscita dallo stesso. Chiaramente la consulenza dovrà identificare anche la reale convenienza ad aderire al “forfettone”, perché se è vero che cala l’aliquota sul reddito, parallelamente l’Iva sull’acquisto di un macchinario o di uno strumento non è più detraibile, e diventa pertanto un costo.