“Big” Luciano Moggi al Casinò, ma non per gioco
In quarant’anni di calcio il settantunenne toscano ne ha viste sicuramente in abbondanza e, forse, proprio per questo nella serata di presentazione del suo libero (martedì 5 febbraio) presso la sede di Ca’ Vendramin Calergi della casa da gioco veneziana riesce a far passare quasi inosservata persino la mini-contestazione che una manciata di tifosi del Venezia ha inscenato all’inizio della presentazione: «Noi Moggi a Venezia non lo vogliamo – ha gridato i supporters arancioneroverdi del gruppo del Gate 22 – e ci stupiamo che lei (hanno detto rivolgendosi al presidente del Casinò Mauro Pizzigati, ndr) gli abbia aperto le porte della nostra città con tanta facilità».
«La presenza di Luciano Moggi, un notissimo interprete del sport più amato dagli italiani, si inserisce nell’ambito dei momenti letterari e culturali che da tempo organizziamo come Casinò – aveva spiegato prima dell’irruzione dei tifosi Pizzigati – Ci sono state delle critiche? Il garantismo non è un optional ma un obbligo culturale, tutti meritano rispetto soprattutto nei momenti difficili e particolari».
Come detto il diretto interessato non ha minimamente accusato il colpo iniziando a raccontare la sua Calciopoli spiegando che: «… questo episodio è l’esempio tipico di quello che mi sta succedendo, seppure da quando si è sollevato il polverone devo anche dire di aver avuto accanto tanto persone che mi hanno sostenuto e incoraggiato a non mollare. In Italia si confonde la presunzione d’innocenza con la presunzione di colpevolezza – ecco la sua prima entrata a gamba tesa – e quindi io sono stato squalificato senza aver commesso il fatto. I miei comportamenti possono essere sfociati nella slealtà, però da qui a dire che ho commesso degli illeciti ce ne passa. Tutti hanno diritto alla difesa ma non nel calcio, dove il sottoscritto è stato bandito come il nemico numero uno pur in assenza di una condanna che combatterò affinché non mi venga inflitta».
Durante il resoconto l’ex dirigente di Napoli, Roma e Torino fornisce particolari e cifre («Negli ultimi campionati la Juve aveva avuto 82 rigori a favore, il Milan 83 e l’Inter 80, dove sta la sproporzione?), si inalbera per domanda di un giornalista sulle schede telefoniche, poi si calma e conferma che quella di chiamare i designatori era – visto che dopo Calciopoli è stato imposto il divieto – una prassi consolidata da sempre e da parte di tutte le società, nessuna esclusa. L’excursus di Moggi spazia dal fantomatico “sequestro” nello spogliatoio dell’arbitro Paparesta dopo un Reggina-Juventus alle ammonizioni comandate, dalle schede telefoniche regalate agli arbitri, ai sorteggi pilotati fino alle telefonate ai designatori Bergamo e Pairetto. Senza tralasciare entrate a gamba tesa sui vari Moratti, Matarrese, Carraro e altri ancora.
«L’unica verità è che la Juve vinceva onestamente e per questo dava fastidio, tutto qui il “Sistema Moggi” – aggiunge – che consisteva in nient’altro che nel mio tentativo di difendere la mia società e il mio lavoro. Non ho mai chiesto favori, non ho mai comprato una partita. Oggi che non c’è più Moggi cosa è cambiato? Nulla, se non il fatto che l’Inter può vincere indisturbata grazie a Ibrahimovic che gli ha dato Juve e grazie agli errori arbitrali di sempre. Nessuno, invece, ha sottolineato che i giocatori della finale dei Mondiali di Germania tra Francia e Italia vedeva in campo quasi l’intera rosa bianconera, più il citì Lippi e persino il massaggiatore Esposito».
“Un calcio nel cuore” serve dunque a Moggi per far capire alle persone quel che è successo: «…fermo restando che non sono un santo, ma uno che ha operato per tutelare la propria società facendo il possibile. Ciò, non lo nascondo – ha concluso – magari è sfociato nella slealtà, che chiaramente non va bene, però in quello che facevo non c’era proprio nulla di illecito né di tale da farmi diventare solo perché si è seguita l’onda popolare, e la stampa, il capro espiatorio di un mondo che ha gli stessi identici problemi di ieri».
M.D.L.
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