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Vecchioni, un viaggio nell’anima

14/02/2008
Ad un poeta si perdona tutto: le amnesie, i mugugni, una certa gigioneria, qualche distonia e perfino una caduta di stile (“Ma che mestiere fa Briatore?” NdR: evidentemente il nostro non guarda i Gran Premi di Formula 1; averne tanti di Briatore, simpatico o meno che sia…). La tournee di Roberto Vecchioni “Di rabbia e di stelle”, che ha toccato anche Mestre, è un viaggio introspettivo nell’ anima, uno specchio nel quale avere il coraggio di guardarsi, badando più alle parole che alla musica; anzi, si può avere perfino la sensazione di ascoltare sempre la stessa canzone (almeno come costruzione armonica), ma le parole no, toccano nel profondo, raggiungendo l’apice con “Le rose blu”, dedicata al figlio in un momento particolarmente grave della sua vita.

Il percorso artistico del cantautore milanese appare adesso ad un bivio: onesto intellettualmente, confessa le proprie colpe di maschio, non rinunciando però a riproporre con una spudorata, quanto incredibile autodifesa, la sua voglia di “donna con la gonna”. La gente applaude sconcertata, preferendo il Vecchioni più profondo, concedendogli comunque un’attenuante sessuale. Lui tira diritto, fiero del proprio ego, assomigliando, con gli anni, sempre più a Gaber per le sue invettive contro la società; censore assoluto declama cosa è giusto e cosa no: è il ruolo della poesia, che non cambia il mondo, ma vale sempre la pena di essere letta. Per questo, ascoltare le sue canzoni non è mai inutile: è un richiamo alla parte, che nascondiamo della nostra anima; ecco perchè piace più alle donne che agli uomini: è un “traditore di genere” capace di scrivere al femminile, così come sa fare Enrico Ruggeri. Da questo, però, lo separa l’anagrafe, che lo fa più rancoroso anche se, lo sottolinea all’inizio del concerto, non ripiegato su se stesso anzi impegnato per una società, che vorrebbe più accogliente per i giovani. Peccato che questi non siano ad ascoltare il “vecchio saggio”, affascinati dai tormentoni delle radio private; ma questo non è un cruccio: il pubblico applaude convinto. Tornerà ad ascoltarlo per un altro viaggio dentro l’anima, dove gli scontati bis di “Samarcanda” e “Luci a San Siro” sanno perfino di bello, ma superfluo: è il pubblico meno coinvolto, che lo chiede; gli altri restano assorti nelle sensazioni di chi sa scavarti dentro.

F.S.

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