Gli artigiani “in affitto” esclusi dal “forfettone”
“Lo avevamo preannunciato –prosegue Sartor-. Una previsione che qualcuno aveva giudicato eccessivamente “nera”, troppo pessimistica, insomma. Ma i fatti ci stanno dando ragione”.
Il riferimento è al così detto “forfettone”, cioè la normativa inserita nella Finanziaria, che doveva portare ad una semplificazione delle procedure contabili (e quindi ad un risparmio) per aziende con un fatturato annuo al di sotto dei 30.000 Euro.
I primi dubbi sull’effettiva validità del provvedimento erano cominciati a circolare qualche mese or sono, quando sembrava che anche il canone di affitto che botteghe e laboratori che gli imprenditori pagano per la loro sede, potesse essere inserito nella voce “investimenti” che, superando i 15.000 Euro in tre anni, per Legge vanifica l’applicazione di tutte le altre agevolazioni.
Insomma, è sufficiente che un artigiano paghi mensilmente una locazione di 500 Euro per essere concretamente escluso dal “forfettone”.
Una norma assurda, che, tra l’altro va a colpire una categoria particolare di piccoli imprenditori. Stiamo parlando di quegli artigiani, spesso ditte individuali, che vivono e operano nei centri storici cittadini e che i dedicano a mestieri definibili “d’arte”. La maggior parte di questi, dal battitore di ferro al restauratore di mobili, dal doratore al lavoratore del vetro, operano in piccoli (ma costosissimi se acquistati) laboratori il più delle volte nel centro delle città. Il loro è un impegno meritevole per due motivi. Prima di tutto perché continuano tradizioni e mestieri destinati probabilmente alla scomparsa. In secondo luogo perché mantengono vivo un tessuto urbano che altrimenti sarebbe ridotto a banche e uffici se non addirittura disabitato ed abbandonato e quindi a rischio degrado e micro-criminalità. Si ha un ben dire di favorire la rivitalizzazione e la sicurezza delle città se si trascura poi il primo elemento perché questo avvenga: il fatto che siano vissute. Eppure proprio questi, quelli che più di altri dovrebbero poter beneficiare dei vantaggi previsti dal “forfettone”, di fatto ne sono esclusi, magari semplicemente per il fatto di essere affittuari.
E’ il caso di Franco Bressan, maestro vetraio nel cuore di Padova, nella centrale via Babarigo, tra il duomo e piazza Castello. Un artigiano solitario, che continua a lavorare il vetro, non certo secondo i tradizionali canoni industriali. “Nel senso – spiega – che il più delle volte creo non su ordinazione ma semplicemente seguendo un’ispirazione; poi, una volta completato il lavoro, metto in vendita il prodotto sperando che qualcuno se ne innamori e lo comperi”.
“D’altra parte – aggiunge – non sono l’unico ad essere imprenditore atipico: quelli che sono rimasti in centro, gli “artisti” come, magari un po’ presuntuosamente, amiamo chiamarci, lavorano tutti così”. Non è certo una modalità che può garantire grandi profitti. Per questo era stata vista con molto interesse (anzi con soddisfazione) la normativa sulla semplificazione. “Per noi – spiega Bressan – il limite dei 30.000 Euro era giusto e assolutamente abbordabile, nel senso che nessuno, qui, nella via, superava tale fatturato annuo. Poi è venuta fuori la questione dell’affitto e tutto è saltato”.
Cioè?
“Semplice. A meno di non essere proprietari anche della casa, è molto difficile che un artigiano che ha la bottega in centro storico possa essere padrone di tale spazio. Così quasi tutti sono in affitto. Che cosa si può avere con meno di 500 Euro? Nulla. Ma basta questa cifra per annullare i vantaggi del forfettone. Assurdo e ingiusto”.
Così, una delle categorie che più di altre avrebbe potuto trarre vantaggio dalla semplificazione, di fatto non sarà in grado di usufruirne.
“Come sempre – commenta Bressan – le opportunità saranno sfruttate dai furbi, da quelli che riusciranno a dimostrare di vivere, senza guadagnare e senza investire. E naturalmente anche senza pagare l’affitto”.
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